Leonardo Coen, il Venerdì 9/11/2012, 9 novembre 2012
LA CARICA DEI 100 MILA POVERI (VERI) DI MILANO
MILANO. La volontaria è una ragazza slava. Bella, alta, bionda. Chissà, forse è russa, forse viene dall’Ucraina. È da lei che ci si ferma per primi, dopo attese spasmodiche. Ogni mattina la coda per entrare al Pane Quotidiano di viale Toscana 28, nei pressi del Parco Ravizza, è sempre più lunga, si spinge fin verso l’incrocio con la via Castelbarco, duecento metri più in là. L’Università Bocconi, dove si allevano i manager di domani, è a cinque minuti.
A Milano i numeri contornano il disastro del Welfare: 56.200 indigenti, secondo i dati della Croce Rossa, ma riferiti al 2011. Per don Mauro Inzoli, presidente del Banco Alimentare sino allo scorso giugno, «oggi sono almeno centomila». Tanti quanto gli abitanti di Arezzo. O di Udine.
Pier Maria Ferrario, assicuratore e presidente di Pane Quotidiano, si domanda: «Che sta succedendo? C’è qualcosa che non quadra più. L’anno scorso abbiamo assistito, tra viale Toscana e viale Monza, dove c’è una nostra succursale, oltre 700 mila persone, più di duemila al giorno (non operiamo la domenica). Nel 1982 erano cento...».
Il Comune ha dovuto mettere delle protezioni sul marciapiede, tanta è la folla che preme per entrare al Pane Quotidiano. Vige una sola regola: due file, a destra gli ultrasessantenni e i pensionati. A sinistra, gli altri. Gli anziani hanno la precedenza: alcuni quasi non riescono a stare in piedi. C’è gente che arriva prestissimo, anche alle sette e mezzo del mattino, per conquistare la pole position. Il cancelletto è aperto alle 9. Alle 11 tutto finisce. Ma qualcosa viene data lo stesso, ai ritardatari, l’ho visto giovedì 18 ottobre.
La gentilezza è un companatico assai richiesto. La slanciata volontaria di Pane Quotidiano lo sa benissimo. Dona a tutti un sorriso, e uno sguardo che sdrammatizza l’imbarazzo d’essere poveri, i suoi occhi paiono dirti: «Non è colpa tua e per fortuna ci siamo noi». L’aiuta il compito: distribuisce le confezioni del dolce. Due porzioni a testa di tiramisù. Che sia casuale o no, è una grande metafora.
Poi a passa al secondo punto di distribuzione: pane, quattro confezioni di yogurt, un litro di latte, se c’è, un chilo di riso, o la pasta. La prima volta che un volontario consegnò i 250 grammi di pane della razione di sussistenza fu 114 anni fa, il 28 febbraio del 1898, quando venne aperto uno sportello nei locali del dazio di Porta Monforte. Da allora, l’associazione laica benefica del Pane Quotidiano non ha mai smesso di distribuire pane, tranne nei giorni dei terribili bombardamenti dell’agosto 1943.
La terza tappa è nella stanza degli abiti. A giorni alterni si servono o i maschi o le femmine. Capita spesso che ci siano momenti di tensione, specie tra le donne. Insulti, spintoni per strapparsi il capo migliore. I volontari riportano ordine, invitano a fare in fretta per lasciar posto a chi segue. Si esce e ci si dirige verso il cancello. Lì viene consegnata la verdura. Oggi, un martedì, per esempio, zucchine e carote.
Angelo Quirci è il responsabile dei volontari. Ha settantun anni, portati benissimo. Da ragazzo, faceva il pugile. Un buon peso welter: «Ho combattuto con la maglia azzurra ventidue volte». Ha perso in finale a un Mondiale, battuto da un francese, almeno così ricorda. Frequentava la palestra di via Bellezza. Lo nota Luchino Visconti che stava mettendo in piedi la troupe di Rocco e i suoi fratelli. Gli dice: «Angelo, la tua è una faccia da cinema». Appare nella sequenza della doccia, dopo l’incontro di boxe, con Alain Delon e Renato Salvatori. Era il 1960.
A quei tempi si raccontava che il giorno del compleanno di Andrea Rizzoli i dipendenti sapessero cosa regalargli: una semplice busta bianca con dentro un bollettino postale. Al cumménda gli occhi brillavano di gioia e commozione mentre sfilava dalla busta con studiata lentezza la ricevuta del versamento sul conto corrente di Pane Quotidiano. Quell’edificante aneddoto – in fondo, una sorta di rito tipicamente ambrosiano – spiegava che Milano g’avègh el coeur in màn, era davvero generosa. C’erano milanesi capaci di fondare un impero editoriale che non dimenticavano mai le umili origini di martinitt, di trovatello. La solidarietà è nel Dna di Milano, quella laica e quella di matrice cristiana coprono spazi lasciati vuoti dalle istituzioni, mostrano una città che subordina le etichette di appartenenza ai fatti, alle iniziative, che s’impone di aiutare i meno fortunati, non importa se a costo d’esperienze massacranti e talvolta ingrate.
«Altrimenti come potremmo aiutare tutta questa gente? Non è mai facile recuperare nove, dieci quintali di pane al giorno. Talvolta non basta la complicità delle aziende, la crisi non le favorisce», dice Ferrario, può capitare che un partner essenziale come la Panem di Muggiò abbia grossi problemi (i 122 dipendenti sono senza stipendio) e allora si deve provvedere. Ovunque ti giri, ovunque si guardi, l’orizzonte milanese si fa sempre più opaco.
Per questo occorrono persone come Angelo e come le migliaia di volontari che sostengono i milanesi impoveriti, rimasti senza lavoro, pensionati con pensioni da fame, e la fame che li spinge nei centri di sussistenza delle parrocchie, delle società come il Pane Quotidiano, alla Caritas, alle varie Opere di San Francesco che offre migliaia di pasti gratuiti al giorno, 2.500 soltanto in corso Concordia, ai margini del centro. Dove, con beffarda e inconsapevole ferocia di classe, separati da una barriera sottile, gli affamati della mensa popolare di San Francesco costeggiano il lussuoso Château Monfort, hotel a cinque stelle ricavato da un bel palazzo del Primo Novecento.
Ogni anno il volontariato milanese dedica oltre due milioni e mezzo di ore di lavoro gratuito per la città: è la seconda azienda milanese, dopo il Comune. Con gli spazi di vuoto civile che si stanno allargando spaventosamente, rischia persino il sorpasso. È una macchina che funziona, che interviene per contrastare una situazione diversamente esplosiva: Milano è la città con il più alto numero di pensionati, quella in cui si nasce di meno e dove i contraccolpi delle riforme fiscali si sono fatti maggiormente sentire. Le code per portare a casa il cibo che non ci si può più permettere di comprare sono diventate familiari. Negli ultimi cinque mesi 1.300 famiglie hanno chiesto aiuto al Comune, per la prima volta dal 2009, sono in maggioranza italiane. Il sindaco Pisapia ha stanziato 24,4 milioni per far fronte a quest’emergenza sociale.
Fondazioni come il Banco Alimentare, legata a Comunione e Liberazione, cominciano a risentire della pesantissima stretta economica: «Stasera, in consiglio, dovremo affrontare una questione molto importante» confida don Mauro, «l’incremento del costo dei trasporti ci sta preoccupando, inoltre la capillarizzazione del servizio è diventata importante. Più cresce e peggio è per noi. Il Banco fa fatica ad essere il Banco. Le necessità aumentano e il Banco non si sostiene». La crescita vistosa della povertà innesca pericolose spirali sociali e psicologiche, «l’impoverimento provoca sgomento, rabbia, paura. Moltissimi fanno fatica a dichiarare il proprio stato di povertà, lo vedono come una dichiarazione di fallimento». Ancor più choccante, in una città come Milano, dove il successo è ragion di vita.
Lo stesso Banco, nella sua specificità, ha connotati imprenditoriali e vanta indubbi risultati, sebbene la sua attività sia vincolata al non profit. Nato nel 1989 su sollecitazione dell’industriale Danilo Fossati, presidente della Star, concilia le esigenze di smaltimento delle grandi aziende alimentari e dei supermarket e convoglia gli aiuti Ue (pacchi di riso, pasta, latte, ecc.). Recupera in giro per l’Italia le eccedenze e le ridistribuisce gratuitamente alle associazioni e agli enti caritativi, non soltanto quelli identificabili con CI: oltre novemila, mille solo in Lombardia. Tuttavia, oggi il sistema di queste banche cibo, centri di raccolta che ricevono dalle aziende i prodotti confezionati al limite della scadenza, è sotto stress, il numero dei bisognosi sta crescendo esponenzialmente. Troppo, anche per le potenti connessioni di Comunione e Liberazione. La povertà avanza come un rullo compressore. Occorre grinta, per affrontarla senza soccombere.
L’ex pugile del Pane Quotidiano riflette: «Io ho appeso i guantoni da quel dì. Ma sul ring della vita si combatte senza soste: guardi queste cifre». L’albanese Edison Duraj, un volontario che nella vita si occupa di cinema e di documentari (uno l’ha presentato al festival di Locarno), gli porge il quadernone delle «presenze» e delle forniture. Lunedì 15 ottobre, nonostante la forte pioggia, 1.150 assistiti. Sabato 13, oltre 2.200. Con l’Osf (l’Opera di San Francesco) sfiorano quota cinquemila: i frati hanno adottato il tesserino elettronico per regolare ingressi ed evitare che qualcuno ci marci. Al Pane Quotidiano nessuno chiede chi sei, «né perché hai bisogno, né quali sono le tue opinioni».
Nella Milano del lusso ci sono 18 mense per poveri. La Michelin della miseria comprende l’assistenza tradizionale della carità cattolica, l’offerta di cibo è piuttosto articolata, ogni zona della città è «coperta». E pure quella dell’alloggio. Dove si mangia si può rimediare la raccomandazione per un posto letto. La Caritas Ambrosiana, per questo, è una macchina da guerra, fa perno sulle 1.104 parrocchie milanesi, ha una commissione per i «gravi emarginati», è il terminale organizzativo di oltre 600 enti non profit che mobilitano dodicimila volontari. Che non bastano mai.
Li cerca l’ex ricercatore chimico Francesco Corda, 77 anni e un’invidiabile vitalità. È il fondatore nonché factotum di un’associazione dell’accoglienza che si chiama Effatà (dall’aramaico, significa «apriti!», fa riferimento all’episodio del sordomuto narrato nel Vangelo di san Marco): da 21 anni si occupa prevalentemente degli anziani senza dimora o che sono stati sfrattati e non hanno i mezzi per trovare un altro alloggio. È una microiniziativa, ma molto impegnativa: «Sono i più fragili, i più deboli. Noi li seguiamo come se fossero nostri familiari. Non siamo invasivi, non diamo solo servizi ma aiuti concreti. Ci occupiamo della loro salute, li ospitiamo, risolviamo i problemi burocratici, cerchiamo di restituirgli fiducia. Ci prefiggiamo la loro promozione umana e sociale».
Il momento clou della settimana è la Cena del Martedì. Si consuma in nome di una parola che pareva fuori sintonia: l’aggregazione. Nelle intenzioni, comunicare, parlare, condividere. Approfondire il rapporto tra volontari e «amici ospiti». Sembra facile. Nei fatti, è molto duro. Gli anziani senza dimora sono come aspre rocce solitarie. Occorrono volontari che sappiano affrontarle senza ferire la loro dignità.
Per ragioni logistiche, l’accoglienza è riservata ai maschi. In via Jommelli 10, a Città Studi, è stato ricavato un appartamentino che ospita quattro persone e un volontario per l’assistenza notturna. Esiste un accordo di ospitalità, «un minimo di convenienze ci deve essere», spiega Corda, a nanna si va alle undici di sera, l’igiene personale è un punto fermo, come il rispetto degli altri. Se uno rispetta le regole, allora può aspirare a un alloggio «protetto». Laddove le istituzioni non fanno o non vogliono fare più, la terra di nessuno diventa sempre più vasta. Per questo, a Milano, vige la legge del ghe pensi mi. Non sono stati per primi, in Italia, i milanesi a tagliare le erbacce dei giardinetti, perché il Comune aveva tagliato i fondi destinati alla cura del verde pubblico?
LEONARDO COEN