Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Trump, bilancio di un anno
È un anno oggi che Trump s’è insediato alla Casa Bianca.
• Da dove cominciamo?
Partiamo dall’economia, che va a gonfie vele. La crescita ha superato il 3%, la Borsa ha fatto segnare un record dietro l’altro, la disoccupazione è al minimo da diciassette anni. Il risultato più importante ottenuto da Trump nel primo anno di governo è la riforma fiscale, che ha ridotto le imposte sulle imprese, spingendo i grandi gruppi a reinvestire negli Usa gli utili realizzati all’estero. Ad esempio Apple farà affluire in America oltre 250 miliardi, ne pagherà 38 di tasse e ne investirà altri 30 creando 20 mila nuovi posti di lavoro. Almeno, così promette. Altro dato rilevante: la forte crescita dei posti di lavoro nell’industria manifatturiera, un settore che gli economisti considerano inevitabilmente in via di ridimensionamento per effetto dell’automazione delle produzioni. Trump poi ha preteso dalla Yellen (la Draghi statunitense) il rialzo dei tassi. Nonostante questo il dollaro è rimasto basso, anzi si è indebolito di un 9% medio nel corso del 2017, favorendo così l’export americano. Punto dolente per il presidente: la cancellazione della riforma sanitaria di Obama, la famosa Obamacare, è fallita.
• In politica estera non va così liscia.
In effetti dopo un anno gli Stati Uniti si direbbero un paese isolato. Ma non è la politica estera che determina il consenso degli americani, anche se è il campo su cui i presidenti possono fare davvero la differenza. In dodici mesi Trump si è divertito a demolire molto di quello che aveva costruito Obama nel suo mandato: ha denunciato l’accordo di Parigi sul clima, ha messo in discussione l’intesa sul nucleare con l’Iran, ha rinforzato i rapporti con l’Arabia Saudita, ha rivisto le aperture a Cuba, ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele creando scompiglio in Medio Oriente. Con la Cina di Xi ha alternato minacce ed elogi, mentre con Kim, il dittatore della Corea del Nord, è andato allo scontro frontale, con proclami roboanti, minacciando l’annientamento di quel paese e rinfocolando i timori di uno scontro nucleare. Solo parole, finora, per fortuna. Se con l’Europa i rapporti sono gelidi e l’Unione europea ha capito che non può contare più su Washington, con Putin Trump avrebbe voluto un’intesa a tutto campo, ma c’è il Russiagate di mezzo e ha dovuto mantenere una posizione distaccata con Mosca.
• Ecco, il Russiagate mi sembra un bel guaio.
In realtà finora nell’inchiesta sull’eventuale collusione tra Trump e Putin per danneggiare Hillary Clinton durante la campagna elettorale s’è visto molto fumo e poco arrosto. Se il figlio e il genero devono preoccuparsi, un impeachment per il presidente è altamente improbabile . Forse il rischio reale per Donald è che, indagando sui rapporti con i russi, il procuratore Mueller scopra altri reati, magari di tipo finanziario.
• Sui migranti e il muro?
Dopo diverse bocciature da parte dei giudici, la Corte suprema ha ammesso il Muslim Ban, che sospende i visti d’ingresso per i cittadini di sei paesi islamici. Quindi la legge che restringe i flussi migratori ora è in vigore, seppure in una versione diversa da quella annunciata da Trump. Non c’è ancora invece il muro di mille chilometri lungo il confine con il Messico, la cui costruzione inizierà nel corso di quest’anno e costerà 18 miliardi di dollari. Il problema è che questo progetto si sovrappone alla crisi degli 800.000 «dreamers», gli immigrati senza documenti cresciuti negli Usa che rischiano di essere cacciati dal 5 marzo: se per salvarli Trump farà un compromesso con i democratici i suoi elettori potrebbero prenderla male e punirlo alle elezioni di Midterm per il rinnovo del Congresso, che ci saranno il 6 novembre. I sondaggi dicono che al momento il consenso verso il presidente oscilla intorno al 40% (per il Pew, il 36%), e quando le cose vanno così il suo partito perde in media 40 seggi alle elezioni di metà mandato. Si tratta però degli stessi sondaggi che nel 2016 non avevano capito che Trump avrebbe vinto.
• Promosso o bocciato?
Vanitoso, imprevedibile e a tratti infantile, il più anziano presidente eletto degli Stati Uniti ha collezionato figuracce e sfondoni, ha provocato terremoti nei rapporti istituzionali, con giudici e con l’Fbi, è stato attaccato senza freni dalla stampa. Come fosse ancora nel reality The apprentice
, ha cacciato un numero impressionante di collaboratori, ministri, capi di gabinetto, creando scompiglio alla Casa Bianca. Sono diventati proverbiali i suoi scatti d’ira e abbiamo imparato a scoprire le sue strategie dai tweet che compulsivamente scrive a ogni ora del giorno e della notte. Malgrado gli allarmi lanciati da democratici e intellettuali e i dubbi degli oppositori su una sua presunta instabilità mentale, il sistema costituzionale statunitense ha tenuto senza problemi. Certo, il Paese rimane spaccato in due, Trump non ha mai neppure tentato di diventare il presidente di tutti, ma fa quello che la sua base si aspetta che faccia, secondo quanto promesso in campagna elettorale, ovvero «America first». Eppure Trump esce da questi dodici mesi sentendosi ancora forte, anzi più forte di dodici mesi fa, soprattutto perché l’economia americana va e anche per il 2018 le previsioni sono positive.
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