Tuttolibri, 20 gennaio 2018
«Nessuno difende più Gandhi, ma l’India ha bisogno di uno come lui». Intervista a Pramod Kapoor. Il Padre della Patria a settant’anni dalla morte nelle fotografie inedite
«Le generazioni future molto probabilmente faticheranno a credere che un uomo simile sia davvero esistito su questo pianeta», disse Albert Einstein del Mahatma, la Grande Anima. E siamo già a quel punto, visto il deperimento dei suoi insegnamenti in un’India dove cresce sempre più il conflitto politico e religioso.
Ma Pramod Kapoor, fondatore della casa editrice Roli Books, al suo primo libro come autore si è impegnato nel resuscitare la memoria di Gandhi in una biografia illustrata con fotografie inedite che iniziano con il periodo della nascita per arrivare all’assassinio e al funerale di Bapu, padre della Patria.
Cosa possono dirci di nuovo queste immagini sulla personalità del Mahatma Gandhi, di quanto non abbiano già fatto le parole?
«Il mio libro è una documentazione che miscela in modo complementare testo e immagini sulla vita del Mahatma Gandhi. Ci sono così tanti dettagli della sua vita lunga 79 anni, dal 1869 al 1948, che è impossibile riuscire a sapere davvero tutto di lui. Ma in più di cinque anni di ricerche, ogni volta che incontravo qualcuno che aveva un collegamento con Gandhi, scoprivo nuove storie».
Nell’introduzione, lei accenna a preoccupazioni sulla censura in India. È stato criticato per questo libro?
«No, ma il mio ragionamento è che oggi in India scrivendo di induisti, di musulmani, del paladino degli intoccabili Ambedkar, o persino di altri leader politici, un autore rischia di mettersi nei guai. Ma nessuno ti lapida se scrivi accuse controverse contro Gandhi. Cioè la censura in India non viene applicata in difesa di Gandhi. Ma non importa, perché il Mahatma diceva sempre che la sua vita era un libro aperto. Era franco e diretto nel parlare di tutti i suoi esperimenti, compreso quello di dormire nudo con delle ragazzine come test della sua castità».
Ecco, appunto, le accuse accumulate nei decenni sono tante. La lettera a Hitler, l’incontro con Mussolini, i commenti razzisti che fece in Sudafrica, la yagna, controversa pratica di castità che lei ha menzionato. Insomma, Gandhi ha accumulato una sfilza di nemici, compresi i Dalit, cosiddetti intoccabili, che lo incolpano d’avere difeso il sistema delle caste. Alcuni fondamentalisti indù hanno persino eretto statue in onore del suo assassino, Godse. Come possono le lezioni positive di Gandhi ritrovare spazio nel cuore di più indiani?
«Per porre rimedio a questa situazione dovrà nascere un nuovo Gandhi. Lui aveva la personalità forte di un leader capace di usare soluzioni originali per dare inizio a un movimento. Lo sciopero del sale ne fu un esempio. Sono certo che oggi Gandhi avrebbe trovato un modo nuovo per contenere, se non addirittura eliminare del tutto la violenza che la società deve affrontare. Ma l’opposizione che dovette affrontare all’epoca fu completamente politica. E nessuno fu in grado di puntare il dito contro la sua sincerità verso la causa o la compassione con la quale affrontava l’umanità».
Qui in India si percepisce un chiaro peggioramento del modo in cui Gandhi viene considerato in questi ultimi anni. Perché?
«Ciclicamente, diciamo ogni dieci anni, Gandhi viene nuovamente osservato, rivisto, analizzato e rianalizzato. Nei decenni appena successivi all’indipendenza indiana e al suo assassinio fu molto più riverito che non oggi. I suoi nemici indiani, quand’era in vita, non lo attaccarono mai sul piano personale, si limitarono a evidenziare le differenze politiche. Nessun oppositore indiano lo insultò. Ma negli ultimi 40 anni il mondo è cambiato tanto, soprattutto nell’ultimo decennio. Con così tanta violenza e terrorismo, sono tutti d’accordo sul fatto che oggi la non-violenza di Gandhi avrebbe affrontato un test molto difficile. Ma molti di noi credono che Gandhi avrebbe contribuito comunque a ritrovare la pace perché, dopotutto, era un maestro nella risoluzione dei conflitti».
Trova che alcuni contemporanei, come i leader politici Anna Hazare o Arvin Kejriwal, del movimento dell’Uomo Qualunque, siano rappresentativi dell’eredità gandhiana?
«Guardi, Gandhi non ha mai cercato il potere, che fosse politico o d’altra natura. Il suo obiettivo era la libertà dalle catene e il miglioramento dell’umanità attraverso strumenti pacifici. Era un vero altruista in questa sua missione. Forse Anna Hazare poteva avvicinarsi a questa definizione, ma mettendosi a bisticciare con Kejriwal per il potere politico si è squalificato. Purtroppo, nello scenario contemporaneo, Gandhi è diventato un semplice simbolo di pace e di tutto ciò che c’è di buono nell’umanità, ma quasi nessuno ne segue l’esempio nella gestione politica e nemmeno nella vita quotidiana. Certo, l’India conserva la memoria di Gandhi e della sua scuola di pensiero, ma in questo mondo di tagliagole, in questa società affamata di potere, le sue idee sono raramente messe in pratica. Ovunque i leader, oggi, combattono per ottenere il potere personale, invece di dare il potere alla gente».