La Stampa, 20 gennaio 2018
Case, chip e volontari. Così il Giappone combatte l’Alzheimer
Entro il 2025 in Giappone una persona su cinque di età superiore ai 65 anni – circa 7,3 milioni di persone – soffrirà di Alzheimer, stando alle stime del ministero della Salute, una cifra che è quasi il doppio di quella attuale (circa 4,6 milioni).
Questi numeri impressionanti hanno portato il governo giapponese a varare un piano nazionale per far fronte a quella che è ormai considerata una vera epidemia.
Moltissime città giapponesi hanno avviato dei corsi di formazione per i residenti col fine di identificare i segni di demenza senile e imparare a gestire gli anziani affetti dalla malattia. Le città hanno inoltre creato dei gruppi di volontari che si occupano di interagire attivamente con le persone anziane per determinare se hanno bisogno di assistenza. Il problema è esacerbato da una profonda tendenza culturale giapponese, ovvero quella di rivolgersi alla famiglia piuttosto che ai vicini nei momenti difficili, ma non sempre le famiglie sono presenti.
La solitudine
Secondo uno studio del governo giapponese circa il 15% degli anziani che vivono da soli riferisce di avere una sola conversazione alla settimana, rispetto al 5% dei coetanei in Svezia, al 6% negli Stati Uniti e all’8% in Germania. Ecco dunque che il nuovo piano adottato da tutte le prefetture del Paese punta alla sensibilizzazione dei residenti con lezioni di 90 minuti dove si affrontano i problemi principali di chi si trova a dover interagire con un anziano malato di Alzheimer (siano lavoratori delle poste, farmacisti o conducenti di taxi). Alla fine dei corsi ad ogni partecipante verrà distribuito un braccialetto di color arancione. Il governo giapponese si aspetta di avere 8 milioni di persone addestrate a tali compiti entro la fine del prossimo anno. L’obiettivo è quello di creare una struttura stabile all’interno delle varie comunità locali per sostenere chi soffre della malattia, ma anche creare le premesse per una società in cui anche per un malato di Alzheimer sarà più facile vivere.
In questo campo il Giappone è all’avanguardia a livello mondiale, infatti nonostante il suddetto programma sia partito «solo» tre anni fa, città come Uji, vicino Kyoto, avevano compiuto i primi passi verso la creazione di comunità «dementia friendly» già nel lontano 1990.
Il progetto prevede la distribuzione di adesivi con codice a barre da apporsi sui vestiti degli anziani per aiutare la polizia a localizzarne le famiglie nell’eventualità che questi si allontanino dalle loro case. Nel 2015 sono scomparse più di 12.000 persone anziane affette da demenza senile, di queste 150 non sono più state ritrovate e 479 sono state ritrovate morte.
Barriere nelle stazioni
Recentemente in oltre 8000 stazioni ferroviarie in tutto il Giappone sono state avviate le operazioni per installare le barriere protettive, l’annuncio era stato accolto sui social media con grande sollievo: il pensiero è andato immediatamente ai 22.000 suicidi annui di cui molti commessi proprio sui binari dei treni. Eppure non è questa la prima ragione della riqualificazione delle stazioni ferroviarie, la prima causa è proprio per evitare che le persone affette da malattie mentali, demenza senile e non vedenti finiscano accidentalmente per cadere sui binari. In Giappone gli incidenti come questi hanno anche dei pesanti risvolti economici come è capitato qualche anno fa alla vedova di un uomo affetto da Alzheimer uscito di casa inosservato e finito schiacciato da un treno in arrivo alla stazione di Aichi.
Liste d’attesa
La vedova novantunenne si è ritrovata a dover risarcire qualcosa come 30.000 euro alla Compagnia Ferroviaria. Circa 520.000 persone sono in lista d’attesa per entrare nelle case di cura che forniscono assistenza agli anziani affetti da gravi condizioni fisiche o mentali. Essendo la disponibilità di tali strutture limitate le cure ricadono sulle famiglie.
È di questi giorni una nuova risposta concreta da parte della politica sulla patologia che più affligge gli anziani. È stato varato un disegno di legge che mira a creare una «società senza età» dove le persone oltre i 65 anni saranno incoraggiate a lavorare. Il progetto che rappresenta la prima revisione in 5 anni della politica sugli anziani, intende introdurre delle misure per far sì che sempre più persone continuino a lavorare anche dopo il pensionamento. Un modo per tenere la mente allenata e dunque, si spera, mantenere la salute mentale.