La Gazzetta dello Sport, 20 gennaio 2018
I conti in rosso in casa Roma. Per Pallotta è il momento di vendere
La Roma americana ha sempre recitato il mantra dell’autofinanziamento. Plusvalenze a ripetizione, i calciatori come asset da valorizzare. E in effetti le annunciate vendite di questa sessione si inseriscono in un solco già tracciato. Da quando i giallorossi sono stati acquistati dalla cordata statunitense, guidata (dal 2012) da James Pallotta il mercato, è stato irrinunciabile: tra il 2011-12 e il 2016-17 sono stati incamerati 301,2 milioni di plusvalenze (al netto delle minusvalenze), con il record di 94,8 della scorsa stagione, grazie all’iscrizione a giugno delle cessioni di Rüdiger, Salah e Paredes.
Il guaio è quando le super-vendite non bastano. Anche l’ultimo bilancio si è chiuso in perdita: -41,7. Nel 2015-16 il rosso era stato inferiore (-14,6) ma negli esercizi precedenti il conto economico aveva avuto sbilanci annui di una quarantina di milioni. Questo perché la Roma non è che abbia badato solo a dismettere. Nel tentativo di agganciare il top della classifica e i premi Uefa, ha investito in cartellini (lo ha fatto pesantemente anche la scorsa estate) e ha ingrossato i costi di gestione, in primis gli stipendi che sono passati dai 103 milioni del 2011-12 ai 155 del 2015-16 per scendere a 145 nel 2016-17. Insomma, i conti spesso non sono tornati. Anche perché il fatturato dipende eccessivamente dai proventi della Champions e, in attesa del nuovo stadio, il segmento commerciale non ha mai dato i frutti sperati da Pallotta, fin troppo esigente sulla valorizzazione del main sponsor, che manca dal 2013.
FABBISOGNI Per tenere la barra dritta in questi anni è stato fatto ricorso, oltre che al trading, alla leva finanziaria, con i beni giallorossi dati in pegno a Goldman Sachs, in cambio di 175 milioni, saliti nel frattempo a 230. E gli azionisti, a più riprese, hanno dovuto mettere mano al portafogli: versati in conto capitale 50 milioni nel 2011-12, 27 nel 2012-13, 23 nel 2013-14 e 70 (più 18 di prestiti) nel 2016-17. A ottobre l’assemblea ha deliberato un aumento di capitale da 120 milioni ma una novantina erano stati già sborsati dalla proprietà. Insomma, servono sempre soldi. Non a caso gli amministratori, prevedendo un risultato 2017-18 in significativo miglioramento, mettono per iscritto che «i fabbisogni finanziari del Gruppo saranno coperti attraverso i flussi finanziari generati dall’attività ordinaria e dall’ulteriore ricorso all’indebitamento finanziario, oltre che, se necessario, dal realizzo di asset aziendali, in particolare riferiti ai diritti pluriennali alle prestazioni sportive dei calciatori, il cui valore di mercato complessivo è ampiamente superiore al valore contabile e rappresenta una solida base di sicurezza per la continuità aziendale». Quando la cassa chiama il mercato è un’ancora di salvezza. Peraltro, i grattacapi della Roma non si limitano alle necessità finanziarie. C’è il fair play Uefa da rispettare. Il club ha sforato i parametri del break-even con il pesante rosso dell’ultimo bilancio e rischia ulteriori sanzioni, imponderabili dal momento che è già sottoposto al settlement agreement. In primavera si saprà. Una gestione giudiziosa del mercato invernale – almeno questa è la speranza dei dirigenti – potrebbe ammansire i giudici di Nyon. Se poi non si dovesse centrare la qualificazione alla Champions, il quadro peggiorerebbe ulteriormente.