il Fatto Quotidiano, 20 gennaio 2018
Profughi in trappola: anche per il rimpatrio serve la mazzetta
“Vuoi salire a bordo dell’aereo che ti riporterà nel tuo Paese? Nessun problema, ma per entrare nella lista, possibilmente in buona posizione, dovresti darci qualcosa”.
Succede anche questo in Libia, a Tripoli e dintorni: “Un funzionario dell’ambasciata mi ha chiesto soldi per inserire il mio nome nella lista del volo per il rimpatrio”. Ibrahim ha 32 anni e proviene da uno degli Stati del cosiddetto G5 Saheliano con cui l’Europa ha preso accordi per sviluppare strategie condivise su immigrazione e terrorismo.
A dicembre ha cercato di prendere informazioni sul progetto di ritorno volontario umanitario gestito dall’Oim, l’agenzia dell’Onu che si occupa di migrazioni, e garante della trasparenza in Libia. Il cortocircuito avviene lontano dalla competenza dell’organizzazione: “È più di un anno che sono arrivato e da allora ho cercato di lavorare per trovare i soldi necessari per l’imbarco – aggiunge – ma me ne sono successe di tutti i colori. Andare avanti costa, restare in Libia non è più sicuro, c’è troppo caos e così quando ho saputo dei ritorni volontari sono andato alla mia ambasciata. Il viaggio in aereo dovrebbe essere gratuito, ma ci sono strani personaggi che girano attorno all’ambasciata che chiedono soldi per essere messi in quella lista. Dai 150 ai 300 dinari (tra i 100 e circa 200 euro, ndr). È tutto sottobanco, molti hanno paura di denunciare pubblicamente questa cosa, temono di avere problemi e di restare a terra. Io ci sto pensando, non so cosa sia meglio fare”.
Ibrahim è soltanto uno dei migranti intrappolati in Libia venuto a conoscenza di questo malaffare. Trafficanti di persone in entrata, uscita e in transito, merce che ha un prezzo:.
“Siamo molto attenti e fiscali sul fronte delle frodi legate non solo ai ritorni volontari umanitari. Noi andiamo nei centri di detenzione e raccogliamo lì le adesioni” afferma Flavio Di Giacomo, portavoce di Oim.
I ritorni volontari dalla Libia sono gestiti proprio dall’agenzia Onu: “Nei primi giorni del 2018 i rimpatri sono stati 805 – aggiunge Di Giacomo – ma a causa dell’attacco all’aeroporto Mittiga di Tripoli, l’ultimo volo con 132 passeggeri risale a lunedì scorso. Nel 2017 sono stati complessivamente 19.370 le persone rimpatriate e dal 28 novembre abbiamo aumentato il processo, riportandone a casa oltre 7.000”. L’Organizzazione tra Maghreb e Sahel, è il terminale del processo; prima ci sono vari passaggi: “L’Oim è un ente credibile e non chiede soldi per questi rimpatri, ci mancherebbe – afferma Gino Barsella, responsabile del Cir in Nord Africa, un’esperienza in Libia dal 2009 – sulle ambasciate preferisco non pronunciarmi, ma conoscendo bene quel territorio posso dire che sui flussi di migranti ci guadagnano in tanti. In Libia c’è di tutto, gente che se ne approfitta. Oim è una grande organizzazione che lavora in maniera limpida, poi magari sul concetto di ritorni volontari si può non essere d’accordo. Secondo me Oim è troppo accondiscendente sui rimpatri. L’idea di rientro in patria volontario è abbastanza forzato, chi decide di tornare è perché non ne può più. Per molti migranti è una sconfitta. Di storie drammatiche ne ho viste e sentite tante. Altra cosa sono i rimpatri assistiti, attraverso cui si da al migrante non una ‘mancetta’, ma la possibilità di avviare un’attività e un progetto di vita futuro”. Intanto tardano a prendere il via i progetti di aiuto delle otto Ong italiane finanziate dall’Aics, l’agenzia ministeriale per lo sviluppo e la cooperazione.
Missioni brevi, quattro mesi appena, in tre aree alla periferia di Tripoli, a favore dei migranti rinchiusi nei centri di detenzione. Ci sono problemi burocratici e di sicurezza. I contratti per avviare le attività dovevano essere firmati entro l’8 gennaio scorso: “A giorni arriverà la firma, siamo pronti a partire” sostiene una portavoce del Cesvi, mentre Helpcode sostiene di aver “rimandato la missione a causa dell’attacco all’aeroporto di Tripoli. La nostra delegata è rimasta bloccata a Tunisi, vediamo cosa accadrà nei prossimi giorni”.
Tra le associazioni capofila c’è anche il Cefa: “Sarebbe tutto pronto, ma ci sono degli obblighi burocratici da soddisfare, tra fideiussioni bancarie, norme su trasparenza e antimafia” ammette Andrea Tolomelli. Rimpatri assistiti, ritorni volontari, corridoi umanitari, missioni-lampo di supporto. L’Italia si danna l’anima per risolvere il problema-migranti e sgomita come se non ci fosse un domani in mezzo al bailamme libico. Al centro dell’attenzione ci sono le centinaia di migliaia di saheliani intrappolati da anni nell’ex ‘scatolone di sabbia’, dalla primavera del 2011 un ‘non Stato’. Dopo la seconda metà del 2017 in cui il Piano Minniti sembrava aver funzionato, con una fortissima riduzione degli sbarchi sulle coste italiane rispetto alla prima parte dell’anno, il 2018 non è iniziato come il Viminale si attendeva. Il numero degli arrivi è tornato a salire e stando alle cifre diffuse dall’Oim (liberata lunedì la cooperante spagnola di origini palestinesi rapita tre giorni prima in Libia) si contano già oltre 200 migranti morti o dispersi nel Mediterraneo nei primi dieci giorni del 2018. Con l’avvicinarsi della primavera, i viaggi della speranza potrebbero ripartire in maniera massiccia. È di ieri l’arrivo nel porto di Pozzallo della nave Open arms della ong spagnola Proactiva con 315 migranti salvati al largo della Libia; a bordo anche cadaveri, tra cui quello di Haid, un neonato di tre mesi.