Corriere della Sera, 20 gennaio 2018
Turturro debutta nella lirica con umiltà
C’è stato un momento della sua vita professionale in cui ha sentito il bisogno «di raccontare le mie origini». John Turturro è figlio di immigrati italiani. «Qui da voi mi sento a casa, ci verrei più spesso». Suo padre, Nicola, era un carpentiere nato a Giovinazzo, non lontano da Bari; sua madre, Caterina, era una cantante jazz di Aragona, in provincia di Agrigento. «I miei genitori si volevano un bene dell’anima ma quando litigavano sembrava che ci fossero i fuochi d’artificio in casa, baci, insulti….Loro hanno sempre amato l’opera, e così i miei nonni», dice l’attore. Al Massimo di Palermo debutterà come regista di lirica il prossimo 13 ottobre con il «Rigoletto» diretto da Stefano Ranzani. «Sono un grande appassionato di Verdi e quando mi hanno parlato di questo titolo sono stato interessato, non tanto perché conoscessi già bene l’opera, ma perché mi piaceva la storia e la relazione tra padre e figlia».
John Turturro, 61 anni il 28 febbraio, riccioli sale e pepe, è un volto atipico del cinema(ha recitato per i fratelli Coen, Scorsese, Redford, Spike Lee, Woody Allen), è un antipersonaggio: «Vorrei che la gente mi ricordasse per i personaggi che interpreto. Non sopporto che tutti mi guardino, odio le foto con i telefonini, mi considero una persona normale che va al lavoro. Non mi interessa essere tra i più famosi di Hollywood, non ho mai ragionato in quel modo, penso solo a ciò che mi piace fare».
L«’invisibile» Turturro si aggiunge alla lunga lista di registi di cinema che si sono confrontati con l’opera. Woody Allen e Sofia Coppola (per loro è stata una tantum, lui per «Gianni Schicchi» a Los Angeles e Spoleto, lei per «La Traviata» all’Opera di Roma), Wim Wenders e William Friedkin, e poi Gabriele Salvatores, Marco Bellocchio, Carlo Verdone, Marco Tullio Giordana, Liliana Cavani…C’è una cosa che, con l’eccezione di Friedkin, il regista di «Il braccio violento della legge», accomuna i cineasti che si sperimentano sulla lirica: la prudenza, il timore di fare il passo più lungo della gamba. Hanno firmato allestimenti tradizionali, dove si fa fatica a scorgere il loro marchio d’autore. Chissà quale strada prenderà Turturro, così manifesta le sue intenzioni di principio: «Sono felice che il mio debutto sia con quest’opera, un mondo diverso dal cinema ma poi non così lontano. Sono cresciuto ascoltando in casa ogni genere di musica, inclusa l’opera. Sarà una nuova esperienza per me, mi accosterò a questo nuovo lavoro seriamente e con umiltà».
Di sicuro l’attore, nato a Brooklyn, quartiere dov’è rimasto a vivere, con Verdi rinsalderà il suo rapporto col nostro paese, presente in alcune sue esperienze cinematografiche (e ai suoi figli, Amedeo e Diego, ha messo nomi italiani). Alla affollata cena «italo-americana» alla Casa Bianca con Obama presidente, insieme con Matteo Renzi c’era anche lui. Ha (anche) la cittadinanza italiana, e parenti a Giovinazzo.
Nel suo primo film da regista, «Mac» (1992), raccontò la storia di suo padre muratore, uomo legato alle tradizioni. «Con i miei genitori non parlavo in italiano, ma ho provato a studiarlo. Quando ho girato il docufilm Sicilia, sono andato a visitare la casa natale dei miei nonni, la riscoperta delle mie radici è stata fondamentale per capire chi sono».
Lo stesso discorso vale per «Passione», il suo film sulla musica neomelodica napoletana dove ha coinvolto tanti artisti italiani, Fiorello e Peppe Barra, Lina Sastri e Massimo Ranieri, che conosceva già. Si era avvicinato alla cultura napoletana qualche anno prima, al tempo in cui recitava a teatro «Questi fantasmi» di Eduardo De Filippo. Al direttore della Festa del cinema di Roma Antonio Monda, Turturro ha confidato il suo dispiacere per i pochi titoli italiani distribuiti in America. «Credo che la cultura italiana possa dare ancora enormemente in termini di fantasia, creatività e sorpresa. Purtroppo si tende invece a apprezzare l’immagine più conveniente: caotica, malinconica e retrò». Ha amato Francesco Rosi, per cui ha recitato in «La tregua», e Pasolini. Oggi fa i nomi di Giuseppe Tornatore, Paolo Sorrentino, Matteo Garrone, Marco Pontecorvo, Alice Rohrwacher e Nanni Moretti, con cui ha lavorato in «Mia madre»: «So che lui non va a genio a tutti, ma è un grande regista».