la Repubblica, 20 gennaio 2018
Nell’Emilia delle fabbriche felici il sindacato si spacca sul welfare
«Correva la fantasia verso la prateria, fra la via Emilia e il West…». Quarant’anni dopo, la “Piccola città” di Francesco Guccini è diventata la motor& packaging valley, una manciata di fabbriche di auto e moto iconiche (Lamborghini, Ferrari, Maserati, Ducati...) o di macchinari per l’imballaggio da 500 pezzi al minuto. Un’enclave che emerge dalla nebbia della Pianura Padana e da quella dell’azienda Italia. Tassi di occupazione “tedeschi”; relazioni industriali all’avanguardia; collaborazione concreta tra aziende, sindacato, istituzioni locali e scuola. Un sogno impossibile, non esportabile nel resto del Paese, anche se non è oro tutto ciò che luccica: perché la Pianura Padana è la stessa del polo logistico di Castelfrigo, una delle capitali italiane del lavoro precario, e perché questa corsa verso il futuro ha creato una spaccatura nel sindacato, apparentemente paradossale visto a quale altezza è collocata da queste parti l’asticella dei salari, del welfare e dei diritti. Un corto circuito che segnala il complicato impatto dell’automazione delle fabbriche sulla dinamica contrattuale.Qualcosa che ormai va al di là del semplice (per modo di dire) dilemma su quanti posti di lavoro vengano bruciati dai robot.Succede alla GD-Coesia (azionista unico Isabella Seragnoli), leader mondiale nel settore delle macchine per l’imballaggio di sigarette (1,6 miliardi di fatturato, il 98% di export, 6.800 collaboratori totali di cui 1.850 nella casa madre): uno stabilimento alla periferia di Bologna che, a visitarlo, più che in una fabbrica sembra di essere in una clinica, e dove le stazioni di collaudo delle macchine in consegna sono separate da pannelli che impediscono lo spionaggio industriale tra clienti. Ebbene, il contratto integrativo che prevede un incremento del 25% del premio di risultato e migliora ulteriormente istituti di welfare aziendale già di per sé avanzatissimi (assicurazione sanitaria e palestra gratuite, scuola dell’infanzia e nido aziendale a costi calmierati, maternità facoltativa da sei a nove mesi, borse di studio per i figli...), è passato con uno scarto di solo 27 voti sancendo il debutto del sindacato di base (contrario alla firma) nella maggioranza dei delegati della Rsu. Una svolta storica, visto il mezzo secolo di regno Fiom. La frattura si è giocata sulla flessibilità dell’orario e sui parametri di valutazione delle performance individuali. «Chi ha votato contro – dice Fabrizio Torri, delegato Fiom – ci ha accusato di andare troppo in fretta lungo la strada dell’innovazione, ma il bivio era tra dire no e girarsi dall’altra parte, oppure fare un’intesa comunque migliorativa».Contrasti su questioni “utopiche” se trasferite nei contesti di crisi industriale del resto d’Italia: cosa ne penserebbe un operaio di Piombino, di Termini Imerese o di Taranto?Eppure, la divisione del sindacato in GD va interpretata e non sottovalutata, perché ripropone i nodi centrali del lavoro nell’industria 4.0: «Capisco che può sembrare assurdo spaccarsi tra lavoratori in una fabbrica come questa – spiega Sergio Bellavita, segretario nazionale Usb – ma ci si è spinti troppo avanti nella condivisione con l’azienda, senza pensare che il solco tracciato qui rappresenta un precedente pericoloso per fabbriche che non si trovano nelle stesse condizioni di GD». Insomma, anche nella idilliaca motor& packaging valley, la rivoluzione industriale del terzo millennio ha i suoi intoppi che risaltano ancora di più in prossimità di scadenze elettorali. Così qui, oltre ai tassi di occupazione e al modello della compartecipazione, dalla Germania sembra arrivare anche il vento di quel «populismo di fabbrica» fotografato da Richard Stoess in una ricerca ( Trade Unions and Right- Wing Extremism in Europe) che rivela come i lavoratori tedeschi vicini al sindacato non siano più lontani dall’estremismo della media degli elettori. Certo, è difficile intravedere del populismo attraversando le linee di montaggio della Lamborghini di Sant’Agata Bolognese (gruppo Audi, quasi 1.600 addetti), uno stabilimento che, tra gioielli a quattro ruote e robot “collaborativi”, somiglia ad un parco tecnologico. Gli operai, con la loro tuta nera, sembrano il negativo della foto di un medico, mentre i ragazzi dell’alternanza scuola-lavoro sperimentano concretamente cosa significa progettare e costruire un dodici cilindri, o confezionare la tappezzeria in pelle di un bolide da sogno. «È il bello del modello emiliano – spiega il capo delle risorse umane, Umberto Tossini dove impresa e sindacato collaborano per il bene di tutti e che è in evidente sintonia con il modello di compartecipazione portato in Lamborghini dall’Audi». Un eldorado delle relazioni industriali che il segretario della Fiom di Bologna, Michele Bulgarelli, rivendica senza però nascondere le difficoltà di rappresentanza: «Oggi i lavoratori sentono di aver pagato un prezzo alto alla recessione, tra nuove condizioni lavorative, allontanamento della pensione, figli precari. Si spiega anche così la rabbia sfogata su politica e sindacato. Ma del sindacato c’è ancora bisogno, a patto che sappia stare dentro i grandi cambiamenti del nostro tempo». Parole che sembrano perdersi nella nebbia che circonda questa fetta di Pianura Padana.