la Repubblica, 20 gennaio 2018
Passa da Nord Stream la guerra fredda sul mercato del gas
Di che cosa stiamo parlando:Il Nord Stream è un gasdotto che collega la Russia alla Germania passando sul fondo del Mar Baltico e i cui lavori sono stati effettuati dall’italiana Saipem. La prima linea è stata inaugurata nell’ottobre del 2012 e garantisce forniture per 27,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno. I soci (i russi di Gazprom con il 51% delle quote, i tedeschi Ruhrgas e Wintershall con il 15,5%, l’olandese Gasunie con il 9% e la francese Engie con il 9%) vorrebbero costruire una seconda linea entro la fine del 2019.
L’hanno già battezzata la guerra fredda del gas. Ad accendere la miccia, pochi giorni fa, sono stati i russi. I quali sono andati dritto per dritto: «Washington sta costringendo la Ue ad abbandonare il progetto di raddoppio del gasdotto Nord Stream: finirà che gli europei saranno costretti a comprare il gas liquefatto molto più costoso degli Stati Uniti».
Sono parole di Serghei Lavrov, ministro degli Esteri russo. Il quale, stando ai numeri, avrebbe poco di cui lamentarsi. Negli ultimi tre anni, Gazprom, il colosso controllato dal Cremlino primo produttore al mondo di gas naturale, ha aumentato le esportazioni a livelli record, arrivando nel 2017 ad oltre 192 miliardi di metri cubi, di cui 179 destinati alla Turchia ma soprattutto alla Ue, la quale dipende dalla Russia per il 32 % del suo fabbisogno di materia prima. Per capire il valore economico, basti ricordare che le esportazioni complessive russe sono state pari a 73,6 miliardi di dollari nel 2016, di cui 31 miliardi relativi alla vendita di gas.
Ma la provocazione di Lavrov guarda avanti: è vero che gli Usa stanno facendo lavoro di lobby a Bruxelles per convincere gli “alleati” a non sostenere il progetto di raddoppio del Nord Stream, il gasdotto che passando sotto il Baltico per 1.200 chilometri collega Russia e Germania «dimezzando i costi di transito» nei paesi dell’est europeo e «risparmiando duemila chilometri il percorso rispetto alla Ucraina», per usare le parole del ministro.
Per quanto gli Usa siano destinati – secondo l’Agenzia internazionale dell’energia – a diventare entro il 2020 il primo fornitore di gas liquefatto globale superando Qatar e Australia, gli americani sono interessati soprattutto ad abbassare la dipendenza dell’Europa da Gazprom, dipendenza che potrebbe aumentare nei prossimi anni tenendo conto dei problemi di fornitura dall’Africa (Libia, in particolare, per la situazione politica) e dei giacimenti in via di esaurimento nel Mare del Nord. Per questo motivo, la Russia ha cominciato a sua volta a diversificare le esportazioni e negli ultimi due anni ha stretto accordi per realizzare infrastrutture e portare gas in India e Pakistan, ma anche in Cina e Giappone.
Spettatore interessato per l’Italia del braccio di ferro tra russi e americani è Snam: il gruppo a controllo pubblico gestisce le vie di accesso del gas in Italia e una parte della rete europea ( in cordata con altri operatori, ha appena presentato una offerta per la società di distribuzione del gas in Grecia). Il suo amministratore delegato, Marco Alverà, spiega perché agli europei il gas americano non conviene: «Grazie allo shale gas, l’industria americana paga circa 2,5 dollari per milione di btu laddove gli europei ne pagano 7,5. Importare gas naturale liquefatto dagli Usa non sarebbe la soluzione, perché ai costi della materia prima occorrerebbe aggiungere quelli della liquefazione (3 dollari), del trasporto (1 dollaro) e della rigassificazione (un altro dollaro)». Allo stesso tempo, Alverà ricorda come l’unico modo per evitare di dipendere da Gazprom è avere più infrastrutture: «Gli europei dovrebbero diversificare il più possibile le fonti di approvvigionamento: conviene che il gas in Europa arrivi dall’Algeria, da Israele o dall’Azerbaijan come avverrà con la realizzazione del gasdotto Tap. In questo modo il mercato sarà più liquido e ci saranno più fornitori in concorrenza». E riuscire a fare pressioni su Gazprom perché tenga i prezzi competitivi e un domani gli americani si adeguino se vogliono veramente portare lo shale in Europa.