Corriere della Sera, 20 gennaio 2018
Calciomercato, troppi acquisti sbagliati. Colpa degli allenatori che non sanno scegliere
È giusto parlare molto di mercato, ma con memoria. L’Inter in un anno solare ha cambiato per intero i tre di centrocampo e ora si appresta a cambiare di nuovo. Due anni fa giocavano Medel, Melo, Kondogbia, Guarin, Brozovic, qualche volta Gnoukouri. L’anno dopo sono stati aggiunti Banega, Joao Mario e Gagliardini. L’estate scorsa Vecino e Borja Valero. Dei sei di centrocampo che giocavano con Mancini sono stati eliminati tutti tranne Brozovic. In totale nel ruolo si sono alternati ben 11 giocatori di cui adesso forse solo uno è destinato a sopravvivere come titolare.
Nella Juventus è andata anche peggio: due stagioni fa c’erano Pogba e Pereyra, titolare alla prima giornata, poi Sturaro, Lemina, Hernanes, Marchisio e Asamoah. Due anni dopo è rimasto solo Marchisio. Con Khedira, Pjanic, Marrone e Rincon, più i nuovi acquisti Matuidi e Bentancur, i centrocampisti utilizzati in due campionati e mezzo sono stati 13 di cui quasi la metà tagliati. Il Milan ne ha utilizzati 15, quelli tagliati sono stati 9.
Si può andare avanti a lungo, abbiamo preso solo le tre più grandi società, tre di quelle che non comprano chi possono, ma di solito chi vogliono. Eppure l’errore è grande per tutti. Complessivamente, dei 23 centrocampisti in rosa alla prima giornata di due mercati e mezzo fa, ne sono stati eliminati 16, quasi il 70% di ripensamenti solo nelle tre più grandi società. Questo ripropone alcuni vecchi dubbi abbastanza fondamentali.
Il primo è chi sceglie chi comprare. La risposta cade sui direttori sportivi e i loro collaboratori. La sapienza della scelta cala dall’alto, raramente arriva all’allenatore, chiunque sia. Gli si chiede un consiglio finale che è quasi sempre accettato. Salvo cambiare tutto in corso d’opera. Perché? Questo è il secondo grande problema, il più duro da capire e quasi sconosciuto al popolo. I tecnici non conoscono i giocatori stranieri, nella stragrande maggioranza non si prendono la responsabilità di indicare nomi incerti. Oppure si innamorano di giocatori visti in campionato in due partite. È essenzialmente per evitare questa fuga all’indietro che in Inghilterra i tecnici sono manager, devono cioè costruirsi da soli la loro squadra. Serve in sostanza una competenza internazionale che adesso non è vasta, si basa su poche osservazioni dirette, il resto è colpo d’occhio, istinto pagato a prezzi carissimi e quasi sempre smentito. Preferiscono siano gli addetti al mercato a correre nei corridoi oscuri dei cambi e degli acquisti. La richiesta massima è la qualità, vogliono giocatori buoni di cui non sanno quasi niente, né inclinazioni personali, né costi, né spirito di squadra. Tutto avviene in fretta, una pezza dopo l’altra. Ma la qualità ha uno spettro molto ampio. Che dice per esempio adesso Spalletti di Rafinha fermo da otto mesi, con 40 giorni di allenamento specifico? È lui quello che lo ha chiesto? O si va dietro al possibile nella speranza che un giocatore in più sia semplicemente meglio di uno in meno anche se costerà più di 30 milioni.
I nostri tecnici sono bravissimi gestori di gruppi e di partite, sanno inventare ma non sanno scoprire. Non si può chiedere di rifare un reparto a ogni mercato, per giunta con prestiti e rischiando su giocatori colpiti duramente. È questa approssimazione che accontenta i tifosi ma inonda di debiti e problemi una società allontanando poi il giocatore vero che serviva. Così spesso ottengono i risultati di prima. In sintesi, la nostra migliore categoria è part time, sa fare due cose, ma non quella decisiva. È una cosa che non può durare.