26 novembre 2010
Il caso Yara Gambirasio
Il caso Yara Gambirasio
Quattro anni per scovare "ignoto1": Massimo Giuseppe Bossetti.
Ma sarà davvero lui il killer?
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Continuiamo la cronaca della mobilitazione contro la riforma dell’università targata Gelmini. A Roma, mentre studenti e ricercatori restano sul tetto di Architettura (dove l’altro giorno s’è arrampicato Bersani e ieri si sono fatti vedere prima Nichi Vendola e il cantautore Antonello Venditti, poi i futuristi Della Vedova, Perina, Granata e Moroni), è stato organizzato un sit-in davanti a Montecitorio, piazzato uno striscione sul tetto del ministero della Pubblica Istruzione («Né manager né baroni, i privati fuori dai maroni») ed è stato occupato il Colosseo (striscione: «Nessun taglio, nessun profitto» con corteo finale «Siamo noi i leoni» prima di andarsene tra lo stupore dei turisti), Altri luoghi-simbolo occupati: la Torre di Pisa (per tre ore), la Mole Antonelliana a Torino (per un’ora), il porto di Palermo, la sede milanese del ministero del Tesoro a Milano. A Milano, studenti e ricercatori sono saliti sul tetto della facoltà di Fisica («Vogliamo una discussione pubblica, con un vero contradditorio, perché la gente non sa che cosa si sta facendo all’università»), c’è stata un’irruzione in un’aula del Politecnico, un corteo di 400 persone per le vie del centro e scontri in piazzale Loreto all’angolo con viale Abruzzi (gli studenti: «una brutale aggressione»), un diciottenne è finito all’ospedale. A Bologna tafferugli con la polizia davanti alla stazione (manganellate), occupata la facoltà di Lettere («resteremo qui fino a martedì», seguirà «un’altra grande giornata di mobilitazione in città»). A Cosenza tutti i docenti della facoltà di Scienze politiche dell’Università della Calabria – preside compreso - dicono di esser pronti a rassegnare le dimissioni se la riforma sarà approvata «nel testo attuale», i Verdi promettono un referendum abrogativo, a Parma è saltata l’inaugurazione dell’anno accademico, a Napoli corteo di circa 400 studenti, a Padova è stato esposto uno striscione sulla basilica di Sant’Antonio «il ddl va ritirato, non c’è santo che tenga», a Ferrara corteo funebre per la morte dell’università con occupazione del rettorato, a Torino, dopo un presidio alla sede della Regione Piemonte, blocco della stazione di Porta Susa al termine di un corteo da piazza Castello, a Venezia protesta in Ca’ Foscari (repubblica.it: «alcune decine di aderenti…»), a Trieste studenti, ricercatori e docenti hanno circondato l’edificio centrale dell’università (erano in 150), a Palermo studenti sono saliti sul tetto di Scienze politiche, all’università di Firenze ci sono stati scontri in margine a un dibattito con Daniela Santanché (cinque o sei contusi), manifestazioni oppure occupazioni anche a Perugia, Siena, Cagliari, Sassari, Aosta, Ancona, Bari…
• Noto che si tratta comunque sempre di piccoli gruppi, quattrocento persone o alcune decine… Quanti sono gli studenti universitari italiani?
Un milione e 750 mila.
• La Gelmini s’è fatta sentire?
«È inquietante la saldatura tra i baroni e gli studenti che protestano contro la riforma dell’università. I baroni, attraverso alcuni studenti, tentano di bloccare una riforma che rende l’università italiana finalmente meritocratica, che pone fine al malcostume di parentopoli, che blocca la proliferazione di sedi distaccate inutili e di corsi di laurea attivati solo per assegnare cattedre ai soliti noti. Non è un caso se tra le prime 150 università del mondo non c’è un solo ateneo italiano. Gli studenti che manifestano, sobillati dai baroni, difendono questo tipo di università e vogliono che nulla cambi».
• È vero che tra le prime 150 università del mondo non c’è un solo ateneo italiano?
Credo che il ministro si riferisca alla classifica stilata ogni anno da sette anni da QS, società londinese di ricerche sul mondo della formazione, nata per ispirazione del “Times”. Si tiene conto di cinque parametri a cui viene assegnato un peso percentuale diverso. Il 40% del voto dipende dai giudizi formulati dalla stessa comunità accademica. Pesano per il 20% la qualità della ricerca scientifica e il rapporto tra numero di facoltà e iscritti. L’ultimo 20% dipende dal numero di collaborazioni internazionali e dalla valutazione di cinquemila capi del personale e amministratori delegati sparsi nel mondo. La prima università italiana, su 500, è Bologna al 176° posto (è scesa di due posti rispetto alla classifica precedente). La Sapienza, a Roma, è 190°. Le successive tre sono collocate tra il 190° e il 300° posto. Dieci stanno oltre il 400°. Gli altri sessanta atenei italiani non sono neanche presi in considerazione. Le prime dieci sono americane e inglesi.
• Stanno protestando anche gli studenti inglesi.
Gli hanno aumentato le tasse, che erano già salate.
• La riforma salta?
La conferenza dei capigruppo ha fissato l’approvazione definitiva per martedì. Poi tornerà al Senato. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 26/11/2010]