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 2010  novembre 26 Venerdì calendario

SE LA MAFIA «RUBA» IL 16% DEL PIL

La mafia «è uno dei principali ostacoli al progresso economico e sociale» anche dove i clan sono meno presenti. E c’è una «correlazione negativa molto forte tra sviluppo economico e criminalità organizzata». La Banca d’Italia lo ha dimostrato studiando l’incidenza sulla crescita del Pil (prodotto interno lordo) in due regioni a minore presenza mafiosa: Puglia e Basilicata. Il loro Pil, oggi, è inferiore almeno del 16% rispetto a quello (teorico) di una regione meridionale con un tasso di sviluppo analogo e priva di presenza dei clan.

Tanto che, dopo aver letto il rapporto, sorge il quesito inquietante: quanto incide Cosa nostra, e soprattutto la ’ndrangheta, in regioni ad alto sviluppo economico - come Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte - dove però i gruppi mafiosi sono ormai diffusi e consolidati? Lo studio di Bankitalia è stato trasmesso di recente alla commissione Antimafia, presieduta da Giuseppe Pisanu. Il rapporto si basa sull’osservazione della serie di denunce per l’articolo 416 bis (associazione per delinquere di stampo mafioso) dal 1983 – anno successivo all’entrata in vigore della legge Rognoni-La Torre – al 2007. Rispetto a questo dato, Puglia e Basilicata sono considerate dall’istituto che ha sede in via Nazionale «terre di mezzo» tra quelle di tradizione mafiosa e le altre regioni. Il documento trae spunto da uno studio spagnolo sui costi del terrorismo che confronta il Pil dei Paesi Baschi con quello delle altre regioni iberiche. L’istituto che ha sede in via Nazionale sottolinea che, per quanto riguarda il racket delle estorsioni, «la situazione è particolarmente grave in Puglia, assimilabile sotto questo aspetto alle altre regioni a maggiore densità mafiosa». In cifre, il dato medio nel periodo 1987-2007 di denunce di estorsione è di dieci ogni 100mila abitanti, analogo (tranne scarti decimali minimi) in Puglia come in Calabria, Sicilia e Campania. In linea anche il numero di violazioni della legge sugli stupefacenti (40 denunce ogni 100mila abitanti). Sul contrabbando, invece, la Puglia è al secondo posto (120 denunce circa) dopo la Campania (250), mentre la Basilicata è sullo stesso livello di Sicilia e Calabria (circa dieci denunce). Bankitalia, poi, ricorda come l’avvento delle associazioni per delinquere di stampo mafioso in Puglia e Basilicata avvenga alla fine degli anni settanta del secolo scorso. E poi mette a confronto il loro Pil pro capite, pari nel 1950 a 2.725 euro, con quello, di pari entità, di una regione virtuale confrontabile, composta dalla sintesi ponderata dei valori di Molise, Abruzzo, Veneto e Umbria: le due regioni del centro nord sono inserite «per il livello relativamente alto di sviluppo della Puglia negli anni cinquanta e sessanta».

Fatto dunque il confronto tra l’andamento del Pil della regione virtuale e il dato di Puglia e Basilicata si verifica che, alla fine del decennio in corso, il prodotto interno lordo nel primo caso è pari a circa 12mila euro pro capite; nelle due regioni meridionali, invece, è attorno ai 10mila euro, inferiore di circa il 16 per cento. Nel paragone tra gli andamenti dei due dati lo studio nota – e poi ritrova più di una conferma – che il divario comincia proprio alla fine degli anni settanta: quando la criminalità organizzata si diffuse nelle due regioni meridionali fino ad allora immuni o quasi dalla presenza mafiosa.