Léon Bertoletti, Libero 26/11/2010, 26 novembre 2010
SVIZZERA AL VOLTO PER CACCIARE LE PECORE NERE
Neutrali ma non buonisti: agli svizzeri piace la tolleranza zero. Un anno dopo il no ai minareti, i cittadini elvetici si recheranno alle urne domenica per esprimersi sull’ampliamento dell’espulsione automatica di stranieri condannati per reati gravi: omicidi, stupri, truffe, traffico di droga o di esseri umani. Ma il risultato, almeno a giudicare dai sondaggi, non dovrebbe riservare grosse sorprese: il 54 per cento degli elettori sarebbe favorevole, secondo le ultime rilevazioni, a fronte di un 43 per cento di contrari e a un 3 per cento di indecisi. E tutto questo nonostante lo scetticismo di chi (come il ministero federale della Giustizia) paventa possibili conflitti con trattati e convenzioni internazionali sui diritti umani.
Il referendum è stato proposto dal Partito popolare svizzero (Svp/Udc), movimento di destra che è la forza politica più rilevante della Confederazione (dove gli stranieri rappresentano un quinto della popolazione, che non tocca gli 8 milioni di abitanti) e che sul tema dell’immigrazione ha guadagnato notorietà a colpi di manifesti provocatori.
IL PAPÀ DEI RATTI
L’ultimo, per dire, ha proposto il confronto cartellonistico tra quattro belle gnocche ammollo nel lago di Zurigo e un’orda di donnoni baffuti di qualche paese islamico o dell’Est europeo, a bagno intabarrati e fumanti. Ma si sono anche viste le pecorelle bianche prendere a calci quella nera, i minareti disegnati come missili, il volto truce con pizzetto e la scritta cubitale: «Ivan S., stupratore. E ben presto svizzero?». Oltre alla campagna dell’Udc ticinese “Balairatt”, i ratti che ballano: il topino romeno e quello italiano pronti a mangiarsi con avidità il formaggio (svizzero, ovviamente). Portava la firma di Michel Ferrise, creativo di origine italiana, direttore della Ferrise Comunicazione di Locarno. Sulle pubblicità choc, ha un’idea precisa: «Non è solo l’immigrazione il problema. In politica serve una comunicazione che crei dibattito e discussione su temi sensibili per l’opinione pubblica, come sicurezza o disoccupazione. Una campagna a effetto stimola a cercare e trovare soluzioni». Tuttavia, «queste campagne fanno leva su percezioni più o meno esplicite dell’opinione pubblica. Mi spiego: la gente già pensa, ad esempio, che un fenomeno come la delinquenza appartenga più agli stranieri che agli svizzeri, ma non lo esprime pubblicamente. Se non ci fosse una spinta dal basso, popolare, una campagna “choc” non avrebbe successo». Potrebbe funzionare anche in Italia? «Non saprei» risponde Ferrise. «Però i mezzi d’informazione fanno la loro parte nel sollevare polveroni e scandali (rom, escort, vicende finanziarie). In Svizzera la stampa è più soft e la pubblicità diventa così uno strumento per stimolare il dibattito, nel bene e nel male».
DESTRA E SINISTRA
Sensi di colpa? «Il mio mestiere è quello di comunicare al meglio il messaggio del mio committente, i problemi della destra o della sinistra li lascio a chi di dovere. In Svizzera, comunque,
la destra si caratterizza per campagne forti, che indignano, mentre la sinistra punta più sull’ironia e la denuncia. In tutti i casi, considerando che spesso ci si muove sul filo del rasoio della comunicazione a forte impatto emotivo, occorre fare attenzione a non superare certi limiti».