Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, La Stampa 26/11/2010, pagina 96, 26 novembre 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
22 dicembre 1994 Ribaltoni
L’utopia che lo Stato sia amministrabile come un’azienda evapora alla vigilia di Natale, quando l’alleato Bossi, in combutta con l’opposizione, presenta una mozione di sfiducia contro Berlusconi. Ad allarmare la Lega è stato l’esito delle elezioni europee di giugno, in cui Forza Italia ha moltiplicato i voti a spese dei «lumbard». Lungo la strada, Bossi trova alleati importanti: Massimo D’Alema, che definisce la Lega «una costola della sinistra», e il pool milanese di Borrelli, che a novembre invita il premier a comparire al processo per le tangenti Fininvest alla Guardia di Finanza. L’atto giudiziario, anticipato dal Corriere della Sera, viene recapitato a Berlusconi mentre presiede a Napoli un convegno Onu sulla criminalità organizzata. Il Cavaliere la prende malissimo. Accusa i giudici di voler togliere di mezzo l’ultimo baluardo dell’anticomunismo: lui. A Bossi dà del «Giuda» (il leghista ricambia, chiamandolo «mafioso»). E al presidente Scalfaro, che a suo dire lo ha convinto a sgombrare da Palazzo Chigi con promesse poi non mantenute, assegna la patente multipla di «serpente, traditore e golpista».
Con la caduta di Berlusconi si consuma il primo dei tanti ribaltoni che caratterizzano la Seconda Repubblica, in realtà mai nata, perché mai si è proceduto alla riforma della Costituzione che ne rappresenterebbe il fondamento. La Bicamerale presieduta da D’Alema raggiunge un accordo sull’elezione diretta del Capo dello Stato, ma si squaglia al momento di definirne i poteri. Nascono a grappoli i partitini personali, eppure il bipolarismo degli interessi è sempre lo stesso dal dopoguerra: Cefis contro Mattei, Fanfani contro Moro, Craxi contro De Mita e ora Berlusconi contro Romano Prodi. Il manager pubblico crea l’Ulivo, mettendo insieme (lui dice «assiemeeehh») ex comunisti ed ex DC di sinistra. Vince le elezioni del 1996 e spinge l’economia dentro i parametri di Maastricht che garantiscono l’ammissione al club dell’euro. Ma anche Prodi ha il suo Bossi in seno: Fausto Bertinotti, che lo impallina da sinistra ogni volta che può e nell’ottobre 1998 gli toglie la fiducia. Il governo cade per un solo voto e Prodi vi intravede la manina di D’Alema, smanioso di prendere il suo posto. In effetti così accade e dopo oltre mezzo secolo di anticamera il primo ex comunista entra a Palazzo Chigi con la benedizione del filoamericano Cossiga. Ma lungi dal fare la rivoluzione, fa la guerra in Kosovo e aiuta un gruppo di imprenditori ad acquistare la Telecom, meritandosi l’appellativo di «unica merchant bank che non parla inglese». Cadrà anche lui, ribaltandosi da solo dopo la sconfitta alle Regionali del 2000.