SANDRINE MOREL, La Stampa 26/11/2010, pagina 13, 26 novembre 2010
“Il Gps per guardia del corpo” - Capelli corti, viso inespressivo, occhiaie e un umor nero, eredità del dramma che ha vissuto, Maria Dolores tira fuori dalla borsa una scatola nera un po’ più grande di un cellulare, molto più pesante e priva di tastiera
“Il Gps per guardia del corpo” - Capelli corti, viso inespressivo, occhiaie e un umor nero, eredità del dramma che ha vissuto, Maria Dolores tira fuori dalla borsa una scatola nera un po’ più grande di un cellulare, molto più pesante e priva di tastiera. «Ecco qui!». Negli uffici del «Mujer 24 h», un centro per le vittime della violenza domestica che si trova a Valencia, in Spagna, questa donna di 40 anni, che insiste per essere chiamata Loli, mostra con uno strano miscuglio di orgoglio e angoscia il dispositivo GPS che da giugno l’accompagna. Giorno e notte, al cinema come al ristorante, Loli non deve mai separarsi dal congegno. La collega al Centro nazionale di monitoraggio Comete, alla periferia di Madrid. Là sanno, in qualsiasi momento, dove si trova. E dove è il marito. «Il giudice ha deciso di dargli una possibilità. Ma a negato a me quella di poter vivere in pace», riassume Loli. «Lui» è Juan (il nome è stato cambiato), il marito di cui lei non pronuncia mai il nome. Incarcerato a gennaio, dopo averla quasi uccisa, è stato rilasciato il 7 giugno. Il processo dovrebbe tenersi a gennaio 2011. Il giudice ha acconsentito al rilascio a patto che non si allontani di più di 300 metri e che indossi un braccialetto elettronico. E anche lui è provvisto di un «telefono» dotato di GPS. Questo dispositivo di protezione delle vittime delle violenze domestiche, introdotto in Spagna nel 2009, permette di controllare continuamente la posizione dell’aggressore e quella la vittima e di allertare la polizia in caso di pericolo. Quando la batteria si scarica, l’attaccante cerca di rimuovere il braccialetto o entra nel perimetro di sicurezza della vittima, suona un allarme. «La prima volta che è successo andavo al tribunale di Albacete», racconta Loli. E’ qui, in Castiglia, che viveva con il marito e due figli quando si è verificata l’aggressione. «Ho cominciato a tremare. Subito dopo il "telefono" ha squillato. Un operatore mi ha detto che ero a 700 metri di distanza da lui e il nome della via dove si trovava. Sono rimasta collegata fino a quando sono arrivata al comissariato per cercare il poliziotto che doveva accompagnarmi». E’ successo solo un’altra volta. Ma per nulla al mondo Loli si separerebbe dal GPS. «Spero che quelli di Madrid, mi sorveglino 24 ore su 24», mormora. Accompagnata dallo psicologo, Loli ha deciso di raccontare tutto. Vuole che «lui» legga questo articolo, che il marito «indegno» sappia quello che lei vive: la paura di dormire da sola, le visite allo psichiatra e le medicine «per non sognare». Perché ha sempre lo stesso incubo in cui rivive la scena che quasi provocato la sua morte. Era il 5 gennaio, ad Albacete. La madre di Loli guardava i loro due bambini di 10 e 5 anni, mentre la coppia puliva la ferramenta di loro proprietà. Durante l’estate, Loli aveva annunciato a Juan l’intenzione di andarsene. Lei continua a vivere in casa «per i bambini». «È stato un terribile errore, ma non lo potevo sapere. Non aveva mai alzato le mani su di me», spiega. Il marito cerca di convincerla. Poi prova a ricattarla emotivamente: «Senza di te sono finito», «se te ne vai mi uccido». Scoppia una lite. Loli ha scoperto che Juan aveva aperto un conto bancario a nome di suo padre e trasferito dei soldi dalla famiglia. Quando lei dice che non glielo lascerà fare, il falegname, alto un metro e 90, le si getta addosso. «Mi ha colpito al collo e alla nuca con uno scalpello». Mostra una cicatrice sulla gola. «Mi ha schiacciato a terra e mi ha sbattuto la testa contro il pavimento». Ma i vicini hanno sentito le urla e sono arrivati di corsa con un poliziotto che si trovava lì per caso. L’hanno trovata stesa al suolo, il marito le teneva un ginocchio premuto sul petto. Loli è stata portata all’ospedale, con ferite alla testa e al collo e il corpo coperto di lividi. «Sembravo un dipinto di Picasso». Il giudice decide di tenere in carcere Juan durante l’istruttoria. Nonostante questo, Loli lascia la sua casa con i figli e si trasferisce a Valencia, dove vive sua madre. «Ad Albacete mi pareva di vederlo ovunque». A poco a poco, ricostruisce la sua vita. Fino a quel 7 giugno, quando lui viene rilasciato. Lo shock è così forte che a mala pena ascolta le istruzioni del tecnico che è andato a portarle il suo telefono. D’ora in poi, vivrà costantemente monitorata. Per Loli non ci sono dubbi: «Se non avessi questo dispositivo non uscirei di casa. Mi dà molta sicurezza, perché so che a 700 metri di distanza da lui, mi chiamano». Copyright «Le Monde» Traduzione di Carla Reschia