FRANCESCA PACI, La Stampa 26/11/2010, pagina 12, 26 novembre 2010
Donne a rischio soprattutto a casa propria (+ tabella) - Quando il 25 novembre del 1960 le tre sorelle Mirabal pagano con la vita la sfida democratica lanciata al dittatore dominicano Rafael Lèonidas Trujillo, la marcia delle donne segna il passo
Donne a rischio soprattutto a casa propria (+ tabella) - Quando il 25 novembre del 1960 le tre sorelle Mirabal pagano con la vita la sfida democratica lanciata al dittatore dominicano Rafael Lèonidas Trujillo, la marcia delle donne segna il passo. Sebbene nell’agosto dello stesso anno fosse entrata in commercio la prima pillola anticoncezionale, pietra miliare dell’emancipazione femminile almeno nei paesi occidentali, l’assassinio di Patria Mercedes, Minerva Argentina e Antonia María Teresa, ricorda brutalmente alle ottimiste la difficoltà di far seguire alle conquiste politiche quelle umane. Figlie, madri, mogli sono in prima linea con gli uomini ma muoiono di più. Per questo, nel 1999, volendo istituire la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne le Nazioni Unite hanno pensato al 25 novembre. Cosa è cambiato da quel venerdì nero di mezzo secolo fa? Parecchio sul piano istituzionale, non altrettanto su quello del costume. Se ormai le donne votano e godono di diritti civili in molte nazioni del mondo una su tre è stata abusata, picchiata o stuprata una volta nella vita, una su cinque lo sarà, 120 milioni hanno subito mutilazioni genitali, di cui 500 mila in Europa e 38 mila nel nostro paese. I dati dell’Onu e di Amnesty International incrociati con quelli delle associazioni di volontariato confermano che la tendenza è trasversale, nord-sud, oriente-occidente, ricchi-poveri: sebbene quando ammesse eccellano negli studi, italiane, americane, mediorientali, africane sono indistintamente le vittime predilette dell’odio maschile che nel 40% dei casi proviene dal partner o da un familiare. Certo, c’è il Congo, che nel 2010 ha registrato una media di 14 violenze al giorno. Ed è innegabile che la tratta di esseri umani, quattro quinti dei quali sono donne, abbia l’epicentro nelle regioni più arretrate del pianeta. Eppure, nessuna può chiamarsi fuori: secondo l’Istat la violenza domestica resta la prima causa di morte accidentale delle nostre connazionali tra i 16 e i 44 anni e, nel 2009, il numero di quante si sono rivolte a un centro antiviolenza è cresciuto del 14,2% rispetto all’anno precedente. «Il fenomeno è in aumento, abbiamo dati consistenti anche sullo stalking (ndr. attenzioni ossessive)» nota la presidente di Telefono Rosa Gabriella Moscatelli. Il problema è rompere il muro del silenzio, come racconta Ada Celico nel libro autobiografico «Io e le spose di Barbablù» sul proprio matrimonio di botte e umiliazioni. Ma, aggiunge la campionessa sportiva Josefa Idem, la lotta non ammette defezioni: «Sebbene sia stato ottenuto molto alcune cose le stiamo buttando via. A volte penso che le donne facciano violenza a se stesse rinunciando a conquiste ottenute nel passato». L’alfabetizzazione femminile per dire, è migliorata, ma ogni giorno, nei villaggi subsahriani e nell’Asia nera, 8 mila bambine rischiano la mutilazione sessuale. Per questo ieri a Palazzo Chigi il ministro delle pari opportunità Mara Carfagna e la vicepresidente del Senato Emma Bonino hanno sottoscritto la campagna di Aidos e Amnesty Italia che chiede l’asilo per le vittime firmando un petalo rosa, simbolo del clitoride escisso. Perché nessuno mandi più a chiedere per chi suona la campana.