Dario Fo, Leggo 26/11/2010, 26 novembre 2010
LE UOVA DEL NUOVO ’68
Ne prenda atto e si rassegni chi ha paura della forza della parola e del gesto. Gli slogan urlati, le uova lanciate non partono dalla pancia. Hanno origine dalla testa. Torino, Milano, Bologna, Firenze, Roma, Palermo: gli studenti stanno protestando contro l’assassinio dei loro diritti con una consapevolezza che generazioni di loro predecessori avevano relegato ad un ricordo cristallizzato nelle foto in bianco e nero.
Occorre tornare al ’68 per ritrovare una tensione positiva come quella avvertita in questi giorni. Ragazzi e ragazze sono di nuovo in piazza, con la parola «piazza» che fa tremare chi ha paura della democrazia e fa tirare un sospiro di sollievo e di speranza a chi ha l’intelligenza di leggere tra le righe. Quanto succede oggi è del tutto simile a quanto accadeva nel ‘68: i giovani ora salgono sui tetti, praticano forme di protesta che sono state già adottate anche dagli operai. Gli studenti, soprattutto, ci ricordano che la politica ci ha disgustato, ma che non basta urlare. Loro lo hanno capito. Pensano, e poi agiscono. Non li muove un risentimento meccanico, greve, viscerale, ma proveniente dall’area del razionale: è pensato, elaborato, è un gettarsi in una mischia che è prima di tutto intellettuale.
Ed è un risentimento necessario: incarna l’impossibilità di rimanere fermi di fronte alla violenza e al grottesco di un governo che sta portando avanti il suo programma di distruzione scientifica del sapere. Ogni parola, ogni slogan, ogni uovo lanciato è un mattone fatto della stessa materia di cui è fatto il futuro: sono colpi di cazzuola e manciate di cemento a sostegno di un’istruzione da puntellare ad ogni costo perché non crolli in un cumulo di macerie.