LUCA FORNOVO, La Stampa 26/11/2010, pagina 33, 26 novembre 2010
“Qualità e infrastrutture Rilanciamo l’Italia” - Vuol vedere come mangiano i ricchi? Barista un panino, per cortesia»
“Qualità e infrastrutture Rilanciamo l’Italia” - Vuol vedere come mangiano i ricchi? Barista un panino, per cortesia». Il tempo è il vero lusso che non sempre può permettersi Diego Della Valle. Ha appena lasciato il quartier generale della Tod’s a Sant’Elpidio a Mare nelle Marche. Direzione Milano, dove l’aspetta un’agenda fitta d’appuntamenti. In più di trent’anni, ha costruito un impero che vale oltre 2 miliardi di euro. Ci sono le attività industriali, con in cima il colosso delle calzature Tod’s e i marchi Hogan e Fay. Gli asset finanziari: le partecipazioni in Generali, Rcs, Mediobanca, Saks, Piaggio, Bialetti, Marcolin, i treni Ntv e il fondo del lusso Charme. E nel calcio, con gioie e dolori, la Fiorentina. Come si fa a fare fortuna col made in Italy? «Primo: non bisogna seguire le mode. Secondo: si devono creare prodotti di qualità che diventano icone, miti del lusso e sono così complicati che è quasi impossibile copiarli. Terzo: vendere il sogno, quello che chiamiamo made in Italy». Ma che c’è di complicato nel fare scarpe? «Beh, avrà visto stamattina in fabbrica. Su 500 prototipi di scarpe che vengono ideati solo un centinaio all’anno passano la selezione. Poi per fare una scarpa bisogna mettere insieme dai 20 ai 60 pezzi». Però ha avuto la fortuna di essere un “figlio di papà”. «Un figlio di una famiglia bene, ma di provincia. Mio papà Doro mi ha aiutato e mi aiuta ancora: ha più di 80 anni ma quasi ogni giorno continua a venire in azienda». E come era la Tod’s quando ha iniziato? «Negli Anni 70 aveva già 300 dipendenti e doveva competere con più di 6 mila aziende di calzature solo nelle Marche. Oggi abbiamo più di tremila dipendenti, 7 mila persone di indotto e nei primi nove mesi di quest’anno il fatturato è salito del 9% a 609 milioni». Come è diventata una multinazionale del lusso? «A metà degli Anni 80 con l’internazionalizzazione, le aperture in Europa e negli Stati Uniti... Nel 2000 ci ha dato grande visibilità la quotazione in Borsa». Ora la nuova America è la Cina? «Lì abbiamo un piano di sviluppo abbastanza aggressivo: abbiamo aperto 24 negozi e l’anno prossimo ne apriremo altri 4. La Cina è importante per aumentare le nostre vendite, ma vogliamo crescere in modo equilibrato. Prima o poi anche in Cina costi e salari si alzeranno come è successo in Europa». Che ha in mente per il nuovo piano industriale? «Sviluppare il Far East, Cina e i mercati di Corea, Taiwan, Singapore e Hong Kong». Ma non ha paura che i cinesi la copino? «È difficile copiare la qualità delle nostre pelli, poi registreremo i nostri prodotti». Che ne pensa di quelli che copiano? «Delinquenti allo stato puro. Rovinano il mercato e danneggiano il made in Italy». Il pallino per l’America c’è l’ha sempre. Penso al 19% che ha comprato in Saks. «Da ragazzino, a sedici anni, andare nei magazzini della Fifth Avenue a New York era come entrare nel tempio del lusso». Oggi cosa le piace di Saks? «Ha manager di prim’ordine, come il presidente Ron Frash e l’amministratore delegato Stephen Sadove. Saremo un socio finanziario di lungo periodo». Ha fatto un buon affare... «Un anno e mezzo fa la società valeva o 250 milioni di dollari e ho iniziato a comprare azioni. È incredibile, con la crisi l’America aveva perso la bussola. Oggi la società vale quasi 2 miliardi». Entrerà nel Cda? «Al momento, no». I concorrenti che teme di più? «Chanel, Hermès e la Louis Vuitton di Arnault». A proposito, Arnault,che è anche socio di Tod’s, sta cercando di comprare Hermès. Ma loro non vogliono... «Quando una società è quotata come Hermès va incontro a questo tipo di rischi. Anche se ci fosse un’acquisizione, Hermès resterebbe sempre in mani francesi». Nota dolente, la Fiorentina. Sabato c’è la Juve. «Veniamo a Torino per vincere, scriva così che John Elkann è contento...». Quanto vi è costata la Fiorentina? «Alla famiglia è costata 200 milioni, ora stiamo investendo nel settore giovanile. Sono soddisfatto del bilancio sano, dei conti in ordine e del comportamento serio della tifoseria». L’ultima parola su Prandelli. «Sono rimasto colpito e ben impressionato dall’atteggiamento responsabile della Juve». La Cittadella dello sport è un capitolo chiuso? «È uno strumento per permettere di colmare il gap economico con le altre grandi squadre di serie A, un modo per autofinanziarci. I profitti potevano essere usati per consentire alla squadra di avere un budget più alto». Il sindaco Renzi ha rottamato la Cittadella, ma ora vuole costruire uno stadio a Firenze... «Possono costruire lo stadio, ma la Fiorentina gioca dove vogliamo noi, lo stadio può migliorare la qualità di vita di un quartiere, ma a livello di budget per la Fiorentina non risolve nulla». Ha un’altra idea? «Stiamo pensando di portare la squadra a giocare fuori da Firenze». Che fa, delocalizza la Fiorentina? «Ora le spiego: per avere una squadra competitiva e forte è necessaria la Cittadella dello sport, se non sarà possibile farla a Firenze, siamo pronti a cercare in altri Comuni». La politica: Montezemolo ha detto che non scende in campo «Luca ha fatto bene a seguire il mio consiglio». E l’alta velocità? «Per rilanciare l’Italia, qualità e infrastrutture sono indispensabili. Con i treni Ntv partiamo a settembre». Ha visto che è successo a quelli di Arenaways. Da Torino a Milano non possono fare fermate intermedie... «Sono cose che succedono solo in Italia». Un classico sulla finanza: Generali, i poteri forti, Geronzi dice che vuol fare il chairman all’inglese… «Una battuta in generale: in Italia abbiamo dei personaggi che sembrano disc jockey della finanza. Noi guardiamo al business e alla sua solidità». Dagospia continua ad attaccarla... «Non mi interessa, è un sito che non guardo mai».