Riccardo Sorrentino, Il Sole 24 Ore 26/11/2010, 26 novembre 2010
IL RISCHIO DEBITO MINACCIA MADRID
Qualcuno ha già messo le mani avanti. «Valuteremo la situazione caso per caso. Ovviamente pensiamo che l’ostacolo sia un po’ più alto, per la Spagna e il Portogallo, rispetto all’Irlanda», ha detto il ministro delle Finanze svedese Anders Borg. Nello stesso giorno in cui il presidente della Bundesbank Axel Weber "rassicurava" sull’adeguatezza dei 750 milioni "potenziali" del Fondo di salvataggio europeo aggiungendo però che, in ogni caso, possono essere aumentati.
Come sorprendersi, allora, che gli investitori siano ora preoccupati non solo per Lisbona, ma anche per Madrid? Ieri lo hanno mostrato mandando i rendimenti spagnoli a un livello record (2,5%) rispetto a quelli tedeschi, un chiaro segnale di rischio.
Non si sono ancora raggiunti i 6,3 punti percentuali di Dublino - per non parlare di Atene - ma è evidente che il salvataggio imposto all’Irlanda non ha del tutto spezzato la paura che una valanga, dopo il piccolo e debole Portogallo, possa travolgere anche la Spagna. Alcuni economisti e investitori - per esempio Vladimir Villonca di Société Générale - temono anzi, come già avvenne per Atene, che le nuove misure di austerità varate da Dublino siano eccessive, non creino il desiderato equilibrio tra crescita e rigore. Come si onorano le promesse di restituire i debiti, si chiedono da sempre tutti i creditori, se non c’è un reddito sufficiente?
È un discorso serio, lo stesso che gli investitori potrebbero voler fare per Madrid. Il fronte dei Pirenei è cruciale, in questa crisi di Eurolandia. Non solo perché la Spagna è il quarto paese dell’area, economicamente grande quasi il doppio di Irlanda, Portogallo e Grecia messe insieme, oppure i due terzi dell’Italia o poco più di metà della Francia; ma anche perché la sua ripresa è debolissima, al punto da far temere una seconda recessione, un double dip.
Se la linea non tenesse, sarebbe un disastro. Dopo il Portogallo, che secondo indiscrezioni raccolte dal Financial Times Deutschland avrebbe ricevuto pressioni da Bce e governi per accettare gli aiuti, «la questione successiva sarà la Spagna, e poi l’Italia e poi la Francia e poi la Ue», ha detto Antonio Garcia Pascual, della Barclays. «La Spagna - ha poi spiegato - è un boccone troppo grande per essere inghiottito: le dimensioni del salvataggio esaurirebbero i fondi disponibili». Capital economics ha infatti calcolato che occorrerebbero 420 miliardi solo per salvare Madrid. «Poi - conclude Pascual - avremmo comunque un contagio all’Italia, creando una situazione in cui lo stesso euro sarebbe messo in questione».
La vicenda spagnola ruota, più che negli altri casi, attorno alle vicende dell’economia reale. L’economia è stata vittima della bolla immobiliare: la crescita degli anni scorsi è stata alimentata da un boom edilizio simile a quello dell’Irlanda e di altri paesi, che oggi ha lasciato le banche spagnole con crediti incagliati per circa 180 miliardi. Un andamento simile a una bolla ha subìto anche il mercato del lavoro: una parziale riforma, applaudita da molti economisti accademici, ma criticata da subito da alcuni analisti di mercato - per esempio Vincenzo Guzzo di Morgan Stanley - ha introdotto molti incentivi distorti tra un settore iperprotetto e uno iperflessibile.
L’esplosione di contratti a termine ha permesso al paese di ridurre la disoccupazione a ritmi rapidissimi, da miracolo economico. Quando però la crisi è scoppiata, e i senza lavoro sono balzati al 20,8% della popolazione attiva, quei rapporti di lavoro si sono trasformati in sussidi di disoccupazione che hanno alimentato deficit e debito pubblico in un paese che ancora nel 2007 aveva un surplus pari all’1,9% del Pil e un debito pari al 36% (ora salito a un ancora invidiabile 62%).
I piani di austerità - l’aumento dell’Iva, per esempio, e i tagli alla spesa per 15 miliardi - stanno ora riducendo il deficit, frenando una domanda già sotto pressione. Nel settore privato le incertezze e la disoccupazione spingono gli spagnoli ad aumentare velocemente i risparmi: sono passati in pochi mesi da meno del 15% al 25% del Pil, mentre gli investimenti sono calati e la ricchezza delle famiglie insegue prezzi delle case ancora in calo. L’Fmi, già a fine giugno, avvertiva della possibilità di «un circolo vizioso di feedback negativi». Il timore è di un nuovo scivolamento in recessione, che la crescita zero nel terzo trimestre dell’anno non ha fatto del tutto svanire.
Non tutto va male: le riforme che hanno portato concorrenza sui mercati stanno ben svolgendo i compiti, i prezzi si sono raffreddati e in alcuni casi sono calati, la produttività aumenta come la competitività; ma gli investitori potrebbero non avere fiducia nei risultati. Le pressioni finanziarie non saranno poche. Circa 65 miliardi andranno rimborsati l’anno prossimo, dal 30 aprile, mentre le emissioni nette potrebbero fermarsi a 43,3 miliardi, soprattutto se avranno successo i limiti imposti ieri ai budget delle 17 regioni autonome. La Spagna, come l’Italia, sottolinea che gran parte dei suoi titoli di stato sono detenuti da banche e famiglie, e questo renderebbe più solido il paese. Lo sperano tutti, in Eurolandia.