Marco Lillo, il Fatto Quotidiano 26/11/2010, 26 novembre 2010
IL PENTITO: “LA FAMIGLIA GRAVIANO INVESTÌ NELLE PRIME IMPRESE DI B.”
Per anni i magistrati si sono interrogati su un quesito semplice: cosa c’entrano i fratelli Graviano, autori delle stragi del 1992-1993, con Dell’Utri e Berlusconi? Il pentito Gaspare Spatuzza aveva parlato delle confidenze ricevute dal boss sui contatti con i due fondatori di Forza Italia nel 1994. Ora un’intervista del pentito Francesco Di Carlo ad Annozero offre una chiave di lettura: la famiglia Graviano potrebbe avere investito nelle prime imprese milanesi del Cavaliere per il tramite di Marcello Dell’Utri e quel legame potrebbe essere stato riattivato al momento della discesa in campo nel 1993-94.
DI CARLO ha ripetuto a Ruotolo il racconto dell’incontro tra il boss della mafia palermitana Stefano Bontate (ucciso nel 1981 dai corleonesi) e Silvio Berlusconi. Quel racconto, che rappresenta l’architrave delle motivazioni della sentenza di condanna in appello a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa per Dell’Utri, nonostante sia stato ritenuto credibile da una decina di magistrati di Palermo, tra pm e giudici di primo e secondo grado, è passato inosservato ai direttori dei tg di Raiset. Proprio in seguito a quell’incontro del 1974 negli uffici milanesi di Berlusconi - secondo i giudici - i boss di Palermo inviarono Vittorio Mangano a villa San Martino a proteggere Berlusconi che così comincia a pagare il pizzo a Cosa Nostra fino almeno al 1992. Fatti noti per i lettori del Fatto Quotidiano ma assolutamente sconosciuti alla grande platea televisiva che ieri ha finalmente ascoltato il racconto di quell’incontro che rappresenta una pietra miliare nella storia dei rapporti tra Cosa Nostra impresa e politica in Italia. L’intervista del boss di Altofonte Francesco Di Carlo che riporta la sua impressione positiva di questo brillante palazzinaro milanese in maglione e jeans che voleva spiegare a Bontate e al cognato Mimmo Teresi i segreti della professione, su Rai due in prime time, è stato davvero un evento rivoluzionario.
“BERLUSCONI ci diede una lezione di economia: spiegò a Te-resi e a Bontate che costruire due palazzi o cento era la stessa cosa. Berlusconi disse che aveva tanti problemi con la criminalità. Allora Bontate gli disse: di che si preoccupa lei? Ha Marcello Dell’Utri accanto e ora le mandiamo una persona noi e siamo a disposizione. Anche Berlusconi disse: sono a disposizione vostra. La scelta poi è caduta su Mangano perché era amico di Tanino Cinà e Dell’Utri sapeva che era mafioso”. Cose note, si dirà, come la testimonianza della moglie di Vito Ciancimino che confermava divertita a Ruotolo gli incontri tra il marito e Silvio Berlusconi negli anni settanta: “E che c’è di male? Era un imprenditore allora e non un politico” o come la testimonianza del pentito Gaspare Muto-lo che ha raccontato il suo interrogatorio con Paolo Borsellino e il progetto di rapimento di Berlusconi, bloccato da una telefonata dei boss palermitani, seguita dall’arrivo di Mangano in villa. Ma il merito di Annozero è stato quello di portare all’attenzione del grande pubblico gli snodi di questa storia italiana fondamentale per capire “la storia italiana” di questi anni. La vera rivoluzione di ieri sera non è stata tanto la trasmissione di una o più interviste scoop su Berlusconi e la trattativa ma il dibattito che si è svolto in prima serata su questi temi. Per una serata grandi ospiti e giornalisti e tecnici si sono divisi e confrontati non sull’ultima confessione dello zio di Sarah Scazzi ma sulla storia tabù dei rapporti mafia-politica in questo paese. Il piatto forte è stato l’intervista al boss di Altofonte. Il re del narcotraffico,
condannato dai giudici inglesi nel 1987 per un traffico da 180 miliardi di vecchie lire ha ripercorso i suoi rapporti con Dell’Utri soffermandosi sul matrimonio a Londra del boss Jimmy Fauci (“ero il testimone di nozze e Dell’Utri era seduto al mio tavolo. Volevano combinarlo mafioso e mi ha trattato con rispetto: sapeva che ero latitante”) ma ha raccontato anche una circostanza finora sconosciuta ai magistrati sui rapporti finanziari tra i Graviano e Dell’Utri. “Un giorno viene da me Ignazio Pullarà, quando avevano già ammazzato a Michele Graviano (nel 1982, ndr) e mi dice: ‘Devo cercare a Tanino Cinà perché Michele Graviano ha messo i soldi con Bontate a Milano”. Dopo la guerra di mafia dei palermitani di Bontate contro i Corleonesi di Riina, secondo Di Carlo, molte famiglie e molte vedove erano alla ricerca dei soldi investiti a Milano anni prima dai boss sterminati. Pullarà, legato al defunto Michele Graviano, si sentiva in colpa verso la famiglia per quei soldi investiti con Bontate dei quali si era persa traccia. Per questa ragione voleva chiederne conto - sempre secondo Di Carlo - al referente delle cosche per i rapporti con Dell’Utri e la Fininvest: Tanino Cinà. Secondo Di Carlo quel rapporto non si sarebbe interrotto con la morte del padre di Filippo e Giuseppe Graviano: “nell’ultimo periodo”, ha raccontato il pentito, “ho assistito al baccano sulle dichiarazioni di Spatuzza che ha parlato di interessi che i Graviano avevano a Milano e mi sono chiesto: ma quando Pullarà voleva incontrare a Cinà, poi li hanno sistemati i loro affari o no? Secondo me li hanno sistemati”.
LE PAROLE consegnatedadiDi Carlo ad Annozero si legano a quelle di Gaspare Spatuzza ai pm: “Graviano mi disse che grazie a Berlusconi e Dell’Utri avevamo il paese nelle mani”. Quelle parole sono state ritenute vaghe e non riscontrate dalla Corte di Appello del processo Dell’Utri e sono all’esame dei magistrati che si occupano delle stragi di mafia del 1992-93.. Secondo i giudici di primo grado del processo Dell’Utri, i rapporti di Dell’Utri con i fratelli Graviano (responsabili della morte di don Pino Puglisi e Salvatore Borsellino e delle stragi dei Georgofili a Firenze e del Padiglione di Arte contemporanea a Milano) sono certi. La Corte di Appello, invece, non li ha ritenuti provati. Agli atti delll’indagine sulle stragi c’è anche un’informativa della Dia del 1996 basata sulle informazioni raccolte da un confidente, indagato con i Graviano, che ha raccontato di conoscere per diretta esperienza il rapporto tra Dell’Utri e Filippo Graviano. Il confidente della Dia ha raccontato che facevano affari insieme e ha aggiunto di avere accompagnato lo stesso Graviano a un ristorante di Milano frequentato da dirigenti e calciatori rossoneri: L’assassino, dove - a detta del confidente - avrebbe dovuto incontrare Dell’Utri. L’amico dei Graviano non ha voluto verbalizzare queste dichiarazioni, per paura. Ma le sue dichiarazioni sono state riportate in un’informativa dal vicequestore della Dia che le ha raccolte con la garanzia dell’anonimato . Anche Spatuzza ha raccontato di un anomalo interesse del suo boss per l’andamento del gruppo Berlusconi in borsa. E i Graviano sono stati arrestati a Milano mentre erano a tavola con un loro favoreggiatore che cercava di piazzare il figlio calciatore al Milan, al quale era stato raccomandato da Dell’Utri. Una cosa è certa: i Graviano sono in carcere da allora. Giuseppe al processo si è rifiutato di rispondere sui rapporti con Dell’Utri mentre Filippo li ha negati. Ora Di Carlo dice: “un carcerato di Cosa nostra sta tranquillo se sa che fuori (ai suoi, ndr) ci arriva da mangiare”.