Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 26/11/2010, 26 novembre 2010
“GOODBYE MAMA” BYE BYE SPETTATORI
Ministri e sottosegretari, alloggio al Cipriani di Venezia per tre giorni dal 3 al 6 settembre (“Ci dispiace”, dicono dalla direzione dell’albergo, ma chi abbia pagato il conto è un’informazione che proprio non possiamo dare”), charter privato decollato dalla Germania con 32 persone di delegazione. Obiettivo, il Festival di Venezia, teatro dell’omaggio fasullo a Dragomira-Michelle Bonev e al suo film Goodbye Mama, inserito surrettiziamente in una sala del Lido per una grottesca parata governati-va. Il problema e il mistero sono la stessa faccia di una semplice constatazione. Il film che nelle parole del ministro della Cultura di Sofia Vlady Rashidov avrebbe dovuto portare “alla Bulgaria la fama mondiale che ottenne la Serbia con Underground di Emir Kusturica” è un’opera fantasma. A parte il pomeriggio veneziano in cui Carlo Rossella la abbracciava e Galan, Carfagna e il vice di Bondi, Francesco Giro, si affacciavano con la targa inventata in piena estate, ma nel quale la stampa rimase fuori dalla proiezione, il nulla.
IN PATRIA non l’ha visto nessuno. Non una misera proiezione di cortesia, un incontro con la stampa locale (imbarcata sul charter e prona nelle recensioni post-veneziane). Il nulla. Non è stato distribuito, neanche per un giorno, nonostante la Bonev sognasse la candidatura all’Oscar per il miglior film straniero e sui divani dell’Excelsior rilasciasse dichiarazioni survoltate: “Ho altri 12 progetti nel cassetto e aspetto con fiducia la selezione di Hollywood”. . I commissari locali deputati alla scelta, dopo averlo visto, sono usciti mesti dalla proiezione organizzata dalla National Film Center Executive Agency, il luogo dove il ministero della Cultura indirizza i film in cerca di finanziamento. Così a sperare nella notte di Los Angeles è rimasto il 35enne Kamen Kalev, che con la Bonev divide solo il luogo di nascita, Bourgas e che con il suo Eastern Plays era passato tra gli applausi alla Quinzaine dello scorso Cannes.
Michelle Bonev ha frustrato l’aspettativa megalomane e gli spettatori bulgari non hanno potuto neanche vedere se i denari elargiti dalla collettività (circa tre milioni di euro di costo è la cifra complessiva dichiarata quando con la sua Romantica Entreteinment – in cui figura come produttore l’avvocato calabrese Giuseppe Maria Corasaniti, che aveva un’agenzia di modelle russe con Dragomira – Bonev cercava denari dalla parti di Bondi che gli ha concesso per ora soltanto il patrocinio) hanno avuto un esito di qualche genere. Mentre Dragomira-Michelle nell’intervista concessa a Roncone del Corsera si paragonava al Papa, in patria teneva banco il caso diplomatico.
UNA FACCENDA prosaica, terrena, sulla quale la più importante tv del Paese, la Btv (ex network di Rupert Murdoch) ha aperto il telegiornale. Il cinema locale è in crisi anche a Est, i finanziamenti erogati sulla carta non sono stati ancora pagati, le troupe si lamentano e permanendo l’incertezza su chi abbia pagato l’allegra gita veneziana, ci si chiede chi abbia foraggiato l’avventura per immagini cui nessuno ha assistito. Tra il 2 e l’8 ottobre, subito dopo la farsa veneziana, Goodbye Mama era atteso a in concorso al Golden Rose Festival di Varna. Nella terza città della Bulgaria, tira un’aria salata. I cineasti protestano per i fondi bloccati, inscenano manifestazioni e rinfacciano i fondi concessi alla Bonev. Dragomira fiuta la situazione e a un tratto senza una spiegazione plausibile, Dragomira-Michelle sotiene l’impensabile. Manca la copia. Niente proiezione. Nel pressbook, sotto una foto della Bonev (Una mania, la pretese anche per il suo libro pubblicato da Mondadori, Alberi senza radici), la storia della pellicola che del libro è una trasposizione. Un melodramma incentrato su quattro donne (due sorelle, una madre e una nonna) che parte da quest’ultima ricoverata in un ospizio, picchia sul regime comunista e infine racconta la catarsi della protagonista che sbarca in Italia dove, neanche a dirlo, riconquisterà la libertà. Una storia che il premier, da anni, racconta con pochissime variazioni.