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 2010  novembre 26 Venerdì calendario

Persi nel Pacifico per 50 giorni - Da quarantasette giorni non li cercavano più. Erano partiti il 3 ottobre per un’impresa che doveva dimostrare a tutto il villaggio che non erano più ragazzi ma veri uomini - coprire a remi un centinaio di miglia tra due atolli delle Tokelau, un arcipelago neozelandese nel Pacifico del Sud -, ma dopo tre giorni non erano ancora arrivati

Persi nel Pacifico per 50 giorni - Da quarantasette giorni non li cercavano più. Erano partiti il 3 ottobre per un’impresa che doveva dimostrare a tutto il villaggio che non erano più ragazzi ma veri uomini - coprire a remi un centinaio di miglia tra due atolli delle Tokelau, un arcipelago neozelandese nel Pacifico del Sud -, ma dopo tre giorni non erano ancora arrivati. Per rintracciarli si erano mobilitate la Marina militare e la Guardia costiera, due aerei della Royal Air Force e due barche private di Samoa. Ma di Samuel, Edward e Filo - 44 anni in tre - non c’era traccia. Dopo qualche giorno li hanno dati per morti, inghiottiti da una tempesta o da un pescecane, oppure sfiniti dalla fame e dalla sete. Hanno celebrato un funerale senza bare e amen. Invece i tre erano vivi. Inesperti e impreparati, erano finiti fuori rotta e andavano alla deriva sulla loro barchetta in alluminio a centinaia di miglia dal punto di partenza. Dopo cinquanta giorni in alto mare, li hanno trovati a mille miglia dal punto di partenza, in una zona raramente battuta dalle navi, tra le Figi e il possedimento francese di Wallis e Futuna. Famelici, smunti e bruciati dal sole tropicale, ma vivi. E passabilmente in buona salute. Per cinquanta giorni avevano stretto i denti e pregato, bevuto l’acqua piovana e mangiato pesce crudo. Non volevano morire, e la fortuna li ha premiati: un peschereccio per tonni ha avvistato il loro guscio in una zona dove non aveva nessun senso che fosse e si è avvicinato. «Abbiamo capito subito che c’era qualcosa di strano - ha raccontato il capitano Tai Fredricsen alla tv neozelandese -. Quella barchetta non poteva essere a pesca di tonni. Quando abbiamo urlato: “Avete bisogno di aiuto?”, quelli hanno ritrovato la voglia di scherzare e ci hanno risposto: “Beh, forse sì”. Erano pazzi di gioia. Ormai erano alla fine». Da tre giorni bevevano l’acqua del mare. «La cosa peggiore che potessero fare», ha detto il capitano, che per loro fortuna è pure medico. E li ha salvati una seconda volta, tenendoli lontano dal cibo: sarebbero morti di indigestione. Invece ha dato loro solo un po’ d’acqua da bere, si è fatto raccontare la storia e li ha sistemati in cabina a guardare cartoni. Il cibo arriverà un po’ per volta, anche se i tre fremono per un vero pasto. «È un miracolo che li abbiamo trovati - ha raccontato uno dei marinai del peschereccio -. Erano in una zona dove normalmente le barche non vanno, perché lì è raro trovare tonni». Certi di arrivare a destinazione in poche ore, i tre avevano caricato sulla barca solo qualche noce di cocco e un po’ di carburante per il motore fuori bordo. Senza strumentazione e senza carte, incapaci di orientarsi, senza rendersene conto avevano invertito rotta, il che ha complicato anche i soccorsi, perché li cercavano dalla parte sbagliata. Per bere, avevano raccolto l’acqua delle piogge. Per mangiare, si erano arrangiati con il pesce che riuscivano a prendere con le mani e che trangugiavano crudo. Una volta avevano catturato un gabbiano che si era posato sul bordo della barca, e avevano divorato crudo pure quello. Ma si arrovellavano sul fatto che fosse stata una buona idea, magari era malato. E infatti è stata una delle prime cose che hanno chiesto al capitano: dottore, quella carne non ci avrà fatto male? Fredricsen li ha rassicurati: meglio il gabbiano del pesce, fa venire meno sete. Comunque, appena il peschereccio sarà arrivato a Suva, li spedirà in ospedale per controlli.