Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Alle dieci di sera, quando arriva la sentenza, non sappiamo che questo: che tutto è stato prescritto, e che quindi le migliaia di morti provocate dall’eternit di Casale è come se non fossero mai esistite, niente galera per nessuno, neanche una lira di risarcimento per le famiglie, un tutti a casa clamoroso, impossibile da digerire, e che bisognerà capire nei prossimi giorni. In quale punto del sistema giudiziario s’è manifestato questo buco tanto clamoroso? Perché, se sono vere le prime notizie, la Cassazione ha stabilito che i reati in questione erano prescritti già all’inizio, cioè il processo non sarebbe mai dovuto cominciare. Siccome due consessi di giudici si sono cimentati con questa faccenda, ne consegue che non tutti intendono la prescrizione allo stesso modo, altrimenti anche i giudici del primo o quelli del secondo grado sarebbero stati in grado di non procedere. È questione di leggi mal scritte, come al solito? È questione di troppe leggi sulla stessa materia e in sottile contraddizione una con l’altra, leggi confliggenti che offrono il destro a chi sentenzia di scegliere quella che più gli aggrada? Non lo sappiamo e non siamo nemmeno sicuri che, al momento delle motivazioni, avremo davvero capito di che si tratta.
• Facciamo un po’ di storia.
Il primo dibattimento si concluse il 13 febbraio 2012 con la condanna dei due proprietari a 16 anni di reclusione per disastro doloso e omissione dolosa di misure infortunistiche. I due, padroni di quattro stabilimenti ormai falliti, si chiamano Stephan Schmidheiny e Luois Cartier de Marchienne, a quell’epoca di 65 e 91 anni, entrambi residenti all’estero (Svizzera e Belgio) e quindi, nel caso, da far instradare in Italia a sentenza definitiva. Louis Cartier morì poco dopo e l’Appello giudicò quindi il solo Schmidheiny: nonostante la fama di benefattore e di ecologista, conquistata soprattutto in Sud America, i giudici gli aggravarono la pena portandola a 18 anni e stabilendo anche risarcimenti (provvisionali) per un totale di 90 milioni di euro. A ciascuna delle 932 parti civili sarebbero dovuti andare 30 mila euro, 20 milioni alla Regione Piemonte, 31 milioni al comune di Casale Monferrato, 2 milioni al comune di Rubiera, 5 milioni alla Asl di Alessandria. Dopo ieri sera, non c’è più niente. Niente carcere, niente soldi. E pensare che all’inizio Schmidheiny aveva offerto 18 milioni alla sola città di Casale perché non si costituisse parte civile e il sindaco Demezzi (Pdl) sulle prime aveva accettato e poi era stato costretto dall’indignazione generale a fare marcia indietro perché, naturalmente, non si barattano le vite con i soldi. Errore, errore gravissimo, specie con la giustizia italiana, che ragiona sempre in termini di accomodamento tra le parti e detesta andare fino alla fine del giudizio. Con una buona trattativa, si sarebbero potuti togliere ai due ricconi un cinquanta milioni da dividersi tra tutti quanti. Almeno avrebbero pagato qualcosa.
• Spieghiamo un attimo, che cos’è questo eternit...
L’eternit è un impasto di acqua cemento e amianto, che il suo inventore (l’austriaco Ludwig Hatschek) chiamò in quel modo perché pensava fosse eterno. Era il 1901. Che l’amianto facesse male lo si sospetta praticamente da sempre, ma dagli anni Settanta lo si dice apertamente. Una lunga lotta ha permesso di dare certezza scientifica al sospetto. A Casale parlano ancora del professor Salvini, medicina del lavoro dell’Università di Pavia, che una certa mattina del 1984 si presentò in fabbrica con un pennello e spennellava di qua e di là le pareti che la direzione aveva tentato di lucidare a specchio. Salvini trovò talmente tanta polvere, e così nociva, da trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica.
• Quanta gente è morta a Casale e negli altri tre stabilimenti per questo?
Duemila persone. E non si contano le vittime di prima del 1999 perché quelle erano già tutte prescritte. Altre 90 sono state estromesse in toto dal processo già in Appello, per via della scomparsa di Louis Cartier. L’eternit non ha ucciso solo i lavoratori e gli impiegati degli stabilimenti. A Casale se n’è andata all’altro mondo col mesotelioma pleurico, o con l’asbestosi, la silicosi e varie broncopneumopatie da silicati tanta gente che in fabbrica non ci aveva mai messo piede. La polvere, portata dal vento, s’incanalava per le vie della città imbiancando le famiglie ignare che stavano a casa. Il peggio purtroppo deve ancora venire perché il picco dei decessi – che continuano con ritmo impressionante - si registrerà tra il 2015 e il 2020. Solo dopo comincerà il declino di questa peste metallica.
• Come comincia il male?
Con un piccolo dolore alla schiena. E da quel momento in poi si va all’altro mondo in fretta.
• Prime reazioni?
Mentre scriviamo i familiari delle vittime, disperati, sono in piazza Cavour a Roma e stanno gridando rivolti verso le finestre accese degli uffici della Cassazione, e rivolti anche verso la giustizia italiana: «Vergogna! Vergogna!».
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