La Stampa, 20 novembre 2014
Gerusalemme impara a convivere con gli attentatori solitari. Le regole base: conoscere la mappa della città ed evitare la folla. I tassisti ormai schivano alcuni quartieri con una precisione millimetrica
Non sporgersi alle fermate degli autobus, stare il più lontano possibile dagli sconosciuti, avere sempre sottomano un oggetto da gettare contro l’aggressore, andare a piedi nelle zone a rischio e soprattutto muoversi in città tenendo bene in mente la mappa dei confini che non sono indicati da nessuna parte. Così vivono gli abitanti di Gerusalemme, dove oltre cinquecentomila ebrei e 250mila arabi risiedono in quartieri che combaciano e a volte si intersecano, portando a una convivenza che espone ai pericoli dell’Intifada 3.0.
Già colpita dagli attentati suicidi della Seconda Intifada, dalle violenze della Prima Intifada e dagli attacchi che iniziarono con la nascita dello Stato di Israele, la popolazione ebraica di Gerusalemme è rapida ad adattare i propri comportamenti ai nuovi pericoli. In questo caso, gli attacchi dei «lupi solitari» arabi sono iniziati, in agosto, con vetture e coltelli. Da qui le prime contromisure, adottate da singoli e famiglie con una sorta di tam-tam informale attraverso telefonate, incontri al supermercato o a scuola accompagnando i figli. Sebbene la presenza di militari e polizia sia ovunque in aumento, i civili adottano precauzioni proprie per limitare quanto possibile i rischi. Proteggersi dalle vetture ad alta velocità significa fare attenzione alle fermate dei bus, dove i capannelli di persone sono invitanti obiettivi. I suggerimenti dei genitori ai figli sono di «non sporgersi verso la strada», «stare dentro le fermate» (quasi tutte coperte) e sostare «lontano dai gruppi» per non entrare nel mirino della «Car Intifada».
Il secondo pericolo sono i coltelli e qui i gerosolomitani applicano metodi testati nel 1994, quando Hamas lanciò una campagna analoga dopo l’arrivo di Yasser Arafat a Gaza in seguito agli accordi di Oslo. Ciò significa non avvicinarsi troppo a persone sconosciute, evitare contatti gomito-a-gomito sui mezzi pubblici ed essere pronti a reagire in caso di aggressione con coltelli. Come? A rispondere è Miriam Grunwald, 80enne residente di German Colony con la memoria di ferro: «Gettare un oggetto qualsiasi contro il terrorista per poter fuggire, dargli un calcio all’inguine o spruzzargli negli occhi qualcosa, dal profumo agli spray nocivi, sempre ammesso di averli».
Alcuni ufficiali dell’esercito consentono ai soldati, soprattutto se reclute, di girare in città in abiti civili, senza divisa, per confondere aggressori alla ricerca di militari come nel caso dell’attacco alla stazione di Tel Aviv. Ma non è tutto perché i maggiori pericoli vengono dalla topografia, ovvero da strade che iniziano in quartieri ebraici e finiscono in zone arabe – e viceversa – esponendo al rischio di trovarsi in pochi attimi in situazioni indesiderate. L’antidoto è conoscere la mappa dei confini dei quartieri, sebbene non siano indicati essendo la città unificata.
I più a loro agio con questa mappa memorizzata sono i tassisti: quelli ebrei evitano i quartieri arabi con precisione millimetrica e spesso avviene anche il contrario. Come nel caso di Mahmud, della società «David Citadel», che esita a prendere i clienti che vogliono andare «troppo a Ovest» nella zona ebraica. D’altra parte, davanti alla Porta di Damasco, cuore della Gerusalemme Est, fra i taxi in sosta di ebrei non ve ne sono. Per chi gira con la propria auto, la preoccupazione è girare all’angolo sbagliato, subendo danni: gli ebrei temono lanci di sassi, gli arabi calci alla carrozzeria. La soluzione sono i mezzi pubblici o anche andare a piedi, visto che le distanze spesso sono ridotte: dalla Saladin Street araba alla Yafo Street ebraica è una passeggiata di 10 minuti, così come dalla casa dei terroristi di Jabel Mukaber – autori dell’attacco alla sinagoga – si arriva a piedi all’ebraica Armon Hanatziv in 5 minuti.
L’area confinante fra i due mondi è un grande prato, attorno a una sede Onu, dove nel finesettimana famiglie ebraiche e arabe portavano i figli a giocare. Mentre adesso è disertato da entrambe.