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 2014  novembre 20 Giovedì calendario

DALLA LIBIA ALLO STATO ISLAMICO, LA STORIA CI PRESENTA IL CONTO


[Marco Minniti]

LIMES Dal Nordafrica all’Ucraina, l’Italia e l’Europa sono attorniate da guerre più o meno calde. Quali sono le crisi più preoccupanti per il nostro paese?
MINNITI Oggi stiamo vivendo la crisi più acuta dalla fine della seconda guerra mondiale. Non che in passato non abbiamo vissuto delle crisi, ma il numero di scenari aperti contemporaneamente oggi non ha precedenti. Sono almeno cinque. C’è l’Afghanistan, che non è meno impegnativo degli altri e che vivrà nel 2015 un anno cruciale. C’è la questione israelo-palestinese. C’è l’Ucraina, un conflitto nel cuore dell’Europa dove per la prima volta dal 1945 i confini sono stati modificati attraverso un intervento militare. C’è la guerra in Siria e Iraq, che potremmo chiamare Siraq, contro lo Stato Islamico (Is). Per concludere c’è la Libia.
LIMES Sono tutti conflitti creati o alimentati dalle scelte occidentali.
MINNITI La storia ci sta presentando il conto: i conflitti in Israele e Palestina, Siraq e Libia devono molto alle decisioni prese nel 1916 (con raccordo Sykes-Picot), a quei confini tracciati col righello. Inoltre è venuta meno l’illusione drammatica di poter “recapitare” la democrazia. Infine, le primavere arabe sono sotto scacco. Gli ultimi dieci anni sono stati paradossali: ci siamo impegnati a esportare la democrazia laddove non erano ancora maturate le condizioni, mentre non siamo stati in grado di costruire un percorso democratico con chi voleva intraprenderlo. Dopo il 1989 si è affermata in Europa, comprensibilmente, un’idea di sviluppo lungo la direttrice Ovest-Est. Ma un conto è lavorare affinché i nemici di ieri divengano gli amici di oggi, un conto è spostare i confini della Nato a ridosso della Russia. La storia, probabilmente, avrebbe suggerito maggiore prudenza. Senza nulla togliere alla nostra determinazione nel difendere l’integrità territoriale e l’intangibilità dei confini dell’Ucraina.
LIMES Cosa può fare l’Italia contro queste crisi?
INNITI L’Italia deve far comprendere all’Unione Europea che c’è anche un asse Nord-Sud e che nel Mediterraneo (e in Africa) si gioca una partita decisiva non solo per il nostro paese, ma per tutto il continente. È una partita lunga e complessa, che richiede una risposta strategica. Se la risposta è concentrata sull’immediato, sul contrasto delle emergenze, è difficile che sia duratura: non si può ripensare l’assetto generale e costruire «un nuovo ordine mondiale» in sei mesi, c’è bisogno di tempo. Dobbiamo anche fare i conti con il nuovo ruolo degli Stati Uniti. Washington non è più attiva nella regione come dieci anni fa, sta ridefinendo le sue priorità. A maggior ragione è il momento giusto per l’Europa, che può finalmente essere protagonista.
LIMES La crisi a noi più vicina è quella libica.
MINNITI La crisi in Libia tocca tre questioni migranti, sicurezza ed energia che non riguardano esclusivamente l’Italia, ma tutta l’Europa. La prima questione è quella demografica: i trafficanti di uomini sfruttano quello che si avvia a essere uno Stato fallito sulle rive del Mediterraneo come porto d’imbarco verso l’Europa per migliaia di migranti, non solo libici.
LIMES Nostalgia di Gheddafi?
MINNITI Nessuna nostalgia naturalmente. L’emigrazione c’era anche allora. Il regime ne regolava i flussi utilizzandoli come arma di pressione internazionale. Certo passare da un regime di polizia alla fragilità attuale provoca un certo senso di vertigine.
LIMES Uno Stato di polizia che alcuni paesi europei, a cominciare dalla Francia, non hanno esitato a rovesciare.
MINNITI Quello che è successo in Libia è un tipico esempio di risposta emergenziale. Si è intervenuti rapidamente per abbattere un dittatore – del quale non sentiremo la mancanza – ma non si è pensato ad avviare la transizione verso la democrazia. Il risultato è che si è creato un problema di sicurezza (ecco la seconda questione). L’Unione Europea non può permettersi una nuova Somalia a 350 chilometri dalle sue coste. Il quasi stallo militare tra le varie milizie non durerà a lungo. È una drammatica lotta contro il tempo. Il percorso strettissimo di una «riconciliazione nazionale» va perseguito con tenace determinazione. L’intera comunità internazionale, dall’Onu all’Europa ai paesi «confinanti» ha una enorme responsabilità, sapendo che il futuro della Libia si gioca insieme dentro i suoi confini e fuori di essi. Infine la terza questione, l’energia: circa un terzo del fabbisogno energetico italiano proviene dal Nordafrica. Non c’è un rischio immediato ma tra Libia, Algeria, Egitto (e Ucraina) è chiaramente il caso di stare in allerta.
LIMES L’opinione pubblica si concentra però sugli sbarchi dei clandestini. Che impatto hanno sulla nostra sicurezza?
MINNITI C’è un numero ingente di migranti in fuga da condizioni economiche e politiche difficilissime – basti guardare a quanti dei richiedenti asilo in Italia lo ottengono, malgrado la nostra legislazione in materia non sia esattamente lasca. Alla lunga nessun paese può reggere l’ingresso di 120 mila migranti l’anno.
LIMES Ma molti di questi se ne vanno a Nord, non si fermano in Italia.
MINNITI Triton e Frontex Plus spezzano il velo dell’ipocrisia: il flusso non è verso l’Italia ma verso l’Europa, non possiamo farcene carico esclusivamente noi. Spetta a Bruxelles. Se vogliamo affrontare questo tema dobbiamo partire dalla stabilizzazione della Libia, naturalmente, ma anche pensare in maniera strategica alla politica europea verso l’Africa. Nei prossimi 15 anni il Continente Nero può diventare un nostro straordinario partner oppure può far implodere l’Europa.
LIMES Che tipo di minaccia rappresenta invece lo Stato Islamico?
MINNITI Partirei da una considerazione: un’organizzazione che si dà come nome “Stato Islamico» – non più «di Iraq e Levante», cioè geograficamente delimitato, ma “Islamico” tout court, senza confini – ci pone una sfida irriducibile. Sotto il profilo militare, l’Is nell’ultimo anno è stato capace di combattere una guerra su due fronti: contro le truppe di al-Asad in Siria e contro gli altri gruppi ribelli jihadisti. Adesso presenta una minaccia al contempo simmetrica – la campagna militare contro il regime siriano e l’occupazione di una parte dell’Iraq – e asimmetrica – l’allusione a una campagna terroristica nel mondo. Abbiamo visto in Algeria e nelle Filippine i primi emuli di Is; la stessa al-Qa’ida oggi è costretta ad accodarsi.
LIMES L’Is è una minaccia seria per l’Italia?
MINNITI Lo è perché ha un obiettivo e le forze per poterlo realizzare, grazie ai foreign fighters, ai jihadisti che dall’Europa sono andati a combattere per loro. L’Is come detto è simmetrico e asimmetrico al tempo stesso e non è da escludere che, qualora sul fronte simmetrico incassi qualche sconfitta, opti per un attacco asimmetrico.
LIMES L’Italia è preparata a una minaccia asimmetrica?
MINNITI Sì. La nostra esperienza con il terrorismo interno ha portato all’affinamento di tecniche di azione preventiva. Penso al Comitato di analisi strategica antiterrorismo (Casa), che riunisce le forze di polizia giudiziaria e l’intelligence permettendo uno scambio immediato di informazioni. Coniughiamo così la prevenzione di breve periodo (grazie al lavoro straordinario delle forze di polizia) e quella di medio periodo (frutto delle attività di intelligence). Io sogno di avere una Casa europea, perché dobbiamo capire che c’è bisogno di un passo in avanti coordinato. Naturalmente non è facile: stiamo parlando di strutture che operano nel cuore degli Stati nazionali, sono quelle strutture che ognuno è più restio a mettere in comune.
LIMES La collaborazione tra la nostra intelligence e le altre funziona?
MINNITI Sì. Neanche nei momenti più difficili del post-Snowden è venuta meno. Non siamo rimasti sorpresi nell’ascoltare il boia dell’Is parlare inglese con perfetto accento londinese. Non parliamo dunque di elementi provenienti dalle comunità islamiche di immigrati, ma anche di persone nate e cresciute in un contesto totalmente occidentale. Con l’intelligence britannica su questo c’è stata una straordinaria cooperazione.
LIMES Tornando a noi, ci sono cellule dello Stato Islamico in Italia?
MINNITI Al momento no. La minaccia è reale, ma non è configurata ne tantomeno in esecuzione. Su questo punto è imperativo essere chiari. La partita dell’opinione pubblica è cruciale e dobbiamo evitare la «sindrome del terrore». La rete protettiva, ancora una volta, deve essere europea: i foreign fighters possono sfruttare le norme sulla libera circolazione all’interno dell’Ue e rappresentano quindi un problema comunitario. Mentre non c’è da temere che i jihadisti arrivino sui barconi dei clandestini: l’operazione Mare Nostrum ha rappresentato obiettivamente un deterrente. È più probabile che i terroristi scelgano altri e più tradizionali canali di ingresso.
LIMES Tra le mafie italiane e i jihadisti ci sono connessioni?
MINNITI Non ci sono connessioni note, ma sicuramente sia le mafie sia i jihadisti sono inseriti nel sistema internazionale dei traffici illeciti: ciò vuoi dire che l’Is è in condizione di occupare un pozzo petrolifero e commerciare illegalmente il petrolio che ne estrae. La collaborazione con le agenzie di intelligence degli altri paesi e con i centri di controllo economico-finanziario mondiale è quindi imprescindibile, soprattutto considerato che l’Is ha iniziato a sviluppare un welfare che richiede di essere finanziato. Colpire lo Stato Islamico nel portafoglio è importante tanto quanto colpirlo militarmente.
LIMES Come possiamo combattere lo Stato Islamico?
MINNITI La risposta a un califfato senza confini non può che essere una grande coalizione con una componente araba e musulmana, per dimostrare che non è una guerra di religione. Vanno però superate ambiguità e contraddizioni. Ancora una volta, se la tattica prevale sulla strategia e si impone la logica secondo cui «il nemico del mio nemico è mio amico», rischiamo di non dare una risposta definitiva alla sfida drammatica dell’Is. Concretamente, dobbiamo agire contemporaneamente su tre terreni. Il primo è quello militare, con azioni mirate e sostegno ai curdi.
LIMES Sotto il profilo militare l’Italia non sta facendo molto.
MINNITI Stiamo facendo quello che la coalizione ci chiede, concentrandoci sul sostegno alle forze sul campo e sull’individuazione dei bersagli. Siamo stati i primi ad aiutare militarmente i curdi, mandando armi. Ci muoviamo in maniera complementare ai paesi alleati: abbiamo messo a disposizione tankers per il rifornimento aereo e droni da ricognizione, prevedendo che ad essi possano aggiungersi anche aerei a pilotaggio umano. Come spesso capita in una campagna aerea, dopo i primi giorni il nemico si sta riorganizzando e diventa sempre più importante individuare con precisione gli obiettivi.
LIMES Quali sono gli altri terreni su cui combattere l’Is?
MINNITI C’è quello della prevenzione, del quale ho già parlato in relazione alle minacce asimmetriche. Infine c’è il terreno politico-diplomatico-valoriale: l’Is rientra in un più ampio dossier mediorientale, dobbiamo immaginare un’iniziativa in grado di rispondere con urgenza ma anche con la pazienza di disegnare un percorso. Prendiamo il caso dell’Iran: naturalmente un do ut des, lotta allo Stato Islamico in cambio di un «qualsiasi» accordo sul nucleare non è accettabile, ma è evidente che un eventuale “buon” accordo sul nucleare avrebbe un enorme impatto sulla guerra contro lo Stato Islamico e sulla transizione in Siria, pur non essendo ad esse direttamente collegato. Al contempo, dobbiamo essere in grado di offrire una visione alternativa a quella – barbarica, inaccettabile, ma presente – jihadista; dobbiamo cioè essere in grado di conquistare i cuori e le menti di chi potrebbe cadere preda del proselitismo dell’Is.
LIMES È immaginabile la normalizzazione dell’Is? Non sarebbe il primo esempio di terrorismo che diventa Stato.
MINNITI Direi di no: è vero che in passato il terrorismo è stato utilizzato per obiettivi quali l’affrancamento di un territorio o il riconoscimento di un diritto collettivo. Ma l’idea del califfato mondiale è irriducibile, non può essere racchiusa dentro alcuna frontiera. Non vogliono aprire ambasciate a Roma, Londra e Berlino. Per loro sono, in senso lato, obiettivi di conquista, non sedi diplomatiche.
LIMES Abbiamo due servizi, uno interno e uno esterno. Non sarebbe il caso di farne uno solo?
MINNITI Abbiamo due agenzie, ma il coordinamento al vertice è stato rafforzato con la riforma del 2007. Il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis) è più forte del Cesis di prima. Inoltre nelle democrazie liberali è importante avere due forze che si occupano di intelligence, anche per una questione di equilibrio dei poteri. Tutte quelle di più antico corso hanno modelli analoghi. La separazione rafforza la specializzazione, perché c’è complementarità e non sovrapposizione. Il legame tra sicurezza interna ed esterna è strettissimo, oggi gran parte della sicurezza interna si gioca al di fuori dei confini nazionali.
LIMES Chi c’è in prima linea contro lo Stato Islamico, l’Aisi (sicurezza interna) o l’Aise (sicurezza esterna)?
MINNITI L’Aisi per quanto riguarda la prevenzione nel nostro paese, l’Aise per quanto riguarda l’azione nei teatri mediorientali.