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 2014  novembre 20 Giovedì calendario

QUELL’INUTILE SOGNO DI FAR DIVENTARE LA RAI UN’AZIENDA NORMALE

Nel giorno in cui la Rai si comporta finalmente come una holding normale, e quota una sua controllata, ottenendo il gradimento del mercato, il suo cda ha fatto ricorso contro il proprio azionista (il Tesoro, che ha il 99,95% del capitale). La decisione che il cda ha contestato (a maggioranza) riguarda il prelievo di 150 milioni di euro dal gettito assicurato dal canone di abbonamento (che, va ricordato, è e resta una tassa). Una delle tante norme inserite nel decreto Irpef che ha tagliato a destra e a manca (tanto per rimanere in tema quel decreto ha stabilito che le società controllate dallo Stato debbano tagliare i costi operativi del 2,5% nel 2014 e del 4% nel 2015).
L’ordine del giorno che impegna la Rai al ricorso contro il governo è stato proposto dall’ex deputato di Forza Italia, Antonio Verro, e ha avuto il voto favorevole dei consiglieri Rodolfo De Laurentis (ex deputato Udc), Guglielmo Rositani (ex deputato An), di Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo (la prima scrittrice e conduttrice di programmi radiofonici, il secondo ex magistrato, entrambi indicati dall’ex segretario Pd, Pier Luigi Bersani, come esponenti della società civile). Infine a votare a favore è stato anche Marco Vento, che nella cervellotica legge che disciplina l’elezione del cda Rai è proprio l’unico indicato dall’azionista Tesoro (ma il governo era un altro, quello di Mario Monti, con Vittorio Grilli all’Economia). Tutti gli altri consiglieri sono scelti dal Parlamento (sette su nove), mentre la presidente Anna Maria Tarantola è stata indicata dal premier di allora (e ieri si è astenuta sull’odg Verro). Per la cronaca ci sono stati anche due voti contrari, quelli di Antonio Pilati (considerato il padre della legge Gasparri è stato componente dell’Agcom e il suo nome è stato fortemente voluto da Silvio Berlusconi), e di Luisa Todini (imprenditrice, ex deputata di Forza Italia, voluta da Matteo Renzi alla presidenza delle Poste), che si è anche dimessa per protesta.
Spiegare, non dico a un marziano, ma a un qualsiasi operatore straniero, che cosa realmente sia successo ieri, è praticamente impossibile. Di consiglieri che non condividono le scelte degli azionisti ce ne sono anche altrove, ma quando succede quei consiglieri manifestano il loro disaccordo dimettendosi e di conseguenza, denunciando al mercato una situazione per loro insostenibile. Solo da noi, e solo nella Rai, succede che chi non è d’accordo con l’azionista resti al suo posto e porti in tribunale il proprietario dell’azienda. Ma il vero aspetto, che difficilmente all’estero possono capire, è che la decisione di Verro & company è pienamente legittima, perché, dalla sentenza n. 225 della Corte Costituzionale, emanata nel 1974, la giurisprudenza è abbastanza concorde nel ritenere che i consiglieri debbano rispondere solo a chi li nomina, ossia al Parlamento.
Ora, per essere precisi, la Consulta all’epoca stabilì «che gli organi direttivi dell’ente gestore (si tratti di ente pubblico o di concessionario privato purché appartenente alla mano pubblica) non siano costituiti in modo da rappresentare direttamente o indirettamente espressione, esclusiva o preponderante, del potere esecutivo e che la loro struttura sia tale da garantirne l’obiettività». Una regola il cui evidente significato era impedire che la Rai fosse il megafono del governo. È difficile, però, comprendere che cosa c’entri la libertà d’opinione con la decisione presa ieri dal cda Rai. Chi lo avesse capito può, per favore, spiegarlo a qualche giornalista straniero?
Antonio Satta, MilanoFinanza 20/11/2014