Stefano Caviglia e Marco Cobianchi, Panorama 20/11/2014, 20 novembre 2014
LE FREGATURE NASCOSTE DI RENZI
Secondo la «narrazione» renziana la Legge di stabilità è «la più grande riduzione delle tasse mai fatta». Ma basta strappare il velo della poesia governativa per scoprire che la prosa della realtà è molto diversa. Nella legge si nascondono infatti vere e proprie fregature. E il risultato è che nel 2015 la pressione fiscale calerà di appena lo 0,1 per cento scendendo al 43,2 per cento rispetto al Pil, per poi risalire al 43,6 nei due anni successivi. Possibile? Possibile, dato che i saldi sono il frutto dei tagli alla spesa non fatti. All’inizio di settembre Matteo Renzi aveva promesso una riduzione delle uscite correnti di 20 miliardi: nella Legge di stabilità si sono ridotti a 5,7 miliardi.
Tasse reTroaTTive
Nella sua prima manovra finanziaria, quella di fine aprile, Matteo Renzi stabilì una riduzione del 10 per cento dell’Irap sulle imprese per il 2014. Nella Legge di stabilità di ottobre questa riduzione è abolita e così, a 70 giorni dalla fine dell’anno, le aziende hanno saputo di dover sborsare 2 miliardi e 59 milioni in più. È la classica tassa retroattiva che sarebbe vietata dallo Statuto del contribuente: un documento che può essere tranquillamente cestinato visto che da quando esiste (1 agosto 2000) è stato violato 450 volte. Anzi, compreso il pasticcio dell’Irap retroattiva, 451. Anzi, 452, perché Renzi ha aumentato retroattivamente anche le tasse sulle fondazioni bancarie: dall’1 gennaio del 2014, l’imposta del 27,5 per cento si calcola non sul 5 per cento dei dividendi incassati ma sul 77,74. Anzi, è stato violato 453 volte, perché ad aprile sempre il governo Renzi aveva già tassato retroattivamente anche le banche.
Tasse poTenziali
Dal 2015 per calcolare l’Irap da pagare le imprese non devono tener conto della componente lavoro (ma solo per i contratti a tempo indeterminato) e questo farà loro risparmiare circa 5 miliardi. Perfetto. Il problema è che una parte dell’Irap finisce alle regioni, e questo taglio riduce i loro incassi di 4 miliardi che dovranno essere recuperati. Come? La tentazione di alzare le tasse, invece di ridurre le spese o i servizi non indispensabili, è irresistibile e mentre qualcuno si è già portato avanti (vedi capitolo «tasse a grappolo»), altri aspettano il 2015 per colpire, ancora, la casa. Dall’anno prossimo dovrebbe essere introdotta la cosiddetta «local tax» che dovrebbe riunire in un solo bollettino Imu, Tasi e tutti gli altri tributi locali. La sostanza dell’accordo tra governo e amministrazioni locali sarà recepita in un emendamento alla Legge di stabilità che prevede che l’aliquota standard per la Tasi salga al 2,5 per mille e la massima al 5 per mille (oggi la media è al 2 per mille) con detrazione fissa di 100 euro senza sconti per i figli, a meno che non siano introdotti dai comuni. Salirà anche l’aliquota massima sulla seconda casa che arriverà al 12 per mille, uguale a quella che pagheranno i negozi.
Tasse a grappolo
Nelle amministrazioni locali c’è già chi si è premunito di aumentare le tasse. Il governatore del Piemonte, Sergio Chiamparino, il 16 ottobre proclamò che «piuttosto che alzare l’Irap mi dimetto». È stato di parola: non ha aumentato l’Irap ma ha portato le addizionali Irpef regionali al massimo consentito per quasi tutti gli scaglioni di reddito. Poi ha aumentato del 10 per cento il bollo per le auto da 136 cavalli in su. In Emilia-Romagna dal 2015 l’addizionale Irpef regionale aumenta per tutti gli scaglioni di reddito, compresi i primi due (15 mila e 28 mila euro l’anno), quelli, cioè, che hanno diritto agli 80 euro del governo: li prenderanno e li gireranno direttamente alla regione.
Nella Roma del sindaco Ignazio Marino, invece, dove le tasse locali sono già ai massimi, sono aumentate le tariffe dei servizi pubblici (acqua, rifiuti, energia). All’appello degli aumenti non mancano i comuni, incentivati ad aumentare l’Irap sui capannoni verso il tetto massimo consentito.
Tasse a scoppio riTardaTo
È il capitolo più nutrito, segno evidente della propensione a migliorare l’umore degli elettori con il rinvio delle cattive notizie.
I nodi cominceranno a venire al pettine l’1 gennaio con l’incremento delle accise sui tabacchi (che produrrà aumenti per le sigarette di fascia bassa di circa 20 centesimi). Ma la stangata è in arrivo soprattutto sui carburanti, oggetto di un vero e proprio programma pluriennale di inasprimenti fiscali. A giugno 2015 scatterà la clausola di salvaguardia sulle possibili minori entrate rispetto alle previsioni della Legge di stabilità: se non si riesce a ottenere il via libera di Bruxelles alle nuove regole («reverse charge») sul pagamento dell’Iva e a recuperare in questo modo i previsti 1,7 miliardi di evasione, quel che manca verrà dalle accise su benzina e gasolio. Fosse l’intero ammontare equivarrebbe a un aumento di circa 6 centesimi a litro.
La tosatura dei consumatori continuerà negli anni successivi, visto che le accise sui carburanti aumenteranno ancora nei periodi 2017-2018 (per 400 milioni) e 2019-2021 (435 milioni). Senza dimenticare la spada di Damocle delle aliquote Iva. Da gennaio 2016, a meno di imprevisti miglioramenti dei conti dello Stato, i prodotti che oggi pagano il 22 per cento passeranno al 25,5 e quelli soggetti al 10 arriveranno al 13.
Nel 2015 entrerà in vigore il nuovo Indicatore della situazione economica equivalente (Isee), utilizzato per stabilire chi abbia diritto ad assegni familiari, sconti sulle mense scolastiche e così via. Uno dei criteri è naturalmente la proprietà immobiliare. Il cui valore, come per Imu e Tasi, si ottiene non più moltiplicando la rendita catastale per cento, ma per 160. «Il risultato» fanno notare da Confedilizia «è che numerosi proprietari di casa, pur non avendo accresciuto il proprio tenore di vita, perderanno automaticamente il diritto ad agevolazioni di cui hanno sempre usufruito».
Tasse à la carTe
Dall’1 gennaio 2015 chi vuole può prendere in anticipo le quote annuali del Trattamento di fine rapporto (Tfr). Ma a prezzo di un aumento delle tasse. Il suo anticipo, infatti, non sarà più tassato come oggi in modo agevolato (ossia fra il 9 e il 15 per cento se viene conferito alla previdenza complementare e al 23 per cento circa se resta in azienda), ma come fosse normale reddito. Perciò chi guadagna fra 50 e 60 mila euro lordi e vuole il Tfr maturato nell’anno in busta paga dovrà pagarci fra il 38 e il 41 per cento di tasse. Scegliere dal menù del governo l’opzione Tfr anticipato, insomma, significa accontentarsi: pochi soldi, maledetti e subito. Ma una tassa à la carte è anche la manovra sui possessori delle partite Iva: chi ne aprirà una nel 2015 potrà scordarsi di pagare un forfait del 5 per cento perché l’aliquota salirà al 15, ma solo se fattura meno di 15 mila euro (professionista) o 40 mila (artigiano). Ci sono emendamenti che puntano a far scendere quel 15 per cento all’8, ma resta il fatto che i nuovi professionisti, prevalentemente giovani, prevalentemente precari, pagheranno più tasse di chi ha già ora una partita Iva.
Tasse Tappabuchi
Per finanziare gli 80 euro in più in busta paga ai lavoratori dipendenti con i redditi più bassi il governo ha bisogno di poco meno di 10 miliardi. È andato a prenderli in gran parte dalle rendite finanziarie, ossia le plusvalenze degli investimenti di qualunque risparmiatore, la cui tassazione è passata, già dall’1 luglio scorso, dal 20 al 26 per cento (con l’eccezione dei titoli di Stato, rimasti al 12,5). Questo inasprimento fiscale si è portato dietro una coda spiacevole che riguarda sia le pensioni erogate dalle 19 casse private dei professionisti, sia la previdenza complementare di qualunque cittadino, ivi compresi i piani pensionistici (pip) realizzati con compagnie assicurative.
Le casse di avvocati, ingegneri, commercialisti e così via (circa 2 milioni di iscritti) vedranno dal 1° gennaio prossimo i loro investimenti tassati al 26 per cento, esattamente come qualunque altra rendita finanziaria. Non meno dolorose le novità per fondi della previdenza complementare, quella che 4,3 milioni di italiani (in buona parte lavoratori dipendenti) aggiungono al trattamento principale per rimpinguare la propria pensione futura. Ad aprile la tassazione sui rendimenti annui dei loro contributi è passata dall’11 all’11,5 per cento e dal prossimo gennaio compirà un vero e proprio salto fino al 20 per cento. E se è vero che il governo considera questi accantonamenti più o meno alla stregua di una qualsiasi rendita finanziaria (come ha detto qualche esponente della maggioranza) non è da escludere prima o poi un altro aumento per portarli al 26 per cento.
In questa caccia alle coperture ci sono andate di mezzo anche le imprese agricole. Per le loro entrate derivanti da produzione di energie rinnovabili è stata introdotta una tassazione al 25 per cento, mentre prima erano considerate «reddito agricolo» e dunque sottoposte a un prelievo molto più leggero.