Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 20 Giovedì calendario

Nessuno pagherà per la strage di Eternit. La Cassazione ha annullato la sentenza della Corta d’Appello: prescritta la condanna a 18 anni al miliardario svizzero Schmidheiny e nessun risarcimento ai familiari delle tremila vittime dell’amianto

Il meglio dai giornali di oggi sulla sentenza Eternit che ha annullato per prescrizione la condanna al miliardario svizzero Schmidheiny e i risarcimenti ai familiari delle vittime.
 
«Prescritta. La strage dell’Eternit resterà impunita. Si è chiuso così il “processo del secolo” contro il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, a capo dell’azienda accusato di disastro ambientale per aver esposto i lavoratori all’amianto e alla conseguente morte per mesotelioma pleurico. Assolto, tra i fischi e le grida dei familiari di alcune delle oltre tremila vittime registrate nei quattro stabilimenti italiani della multinazionale elvetico-belga e tra i cittadini di Casale Monferrato (Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). “Vergogna”, “buffoni”, “assassini”, hanno urlato in tanti. Invano» [Virginia Piccolillo, Cds].
 
Il maxiprocesso Eternit, frutto di trent’anni di ricostruzioni, l’enorme lavoro del procuratore di Torino Raffaele Guariniello, che riuscì a dimostrare come i vertici della multinazionale fossero del tutto consapevoli dei pericoli a cui esponevano gli operai, è stato cancellato con un colpo di spugna. Perché la tesi del procuratore generale Francesco Iacoviello, fatta propria dalla Corte, è che da quel reato sono passati troppi anni. Visto che la Eternit chiuse nel 1986, le responsabilità dei suoi proprietari si fermano a quella data, e dunque dopo quasi trent’anni il reato cade in prescrizione [Maria Novella De Luca, Rep].
 
Gad Lerner (Rep): «Possibile che si sia svegliato all’ultimo minuto prima della sentenza decisiva il procuratore generale della Cassazione, Francesco Iacoviello, nel sostenere in punta di diritto che un disastro ambientale non si consumerebbe a lungo nel tempo? Davvero può fermarsi al 1986 la colpa dell’imprenditore beneficiato di ignominiosa prescrizione, quando la scia di morte ha trascinato via con sé migliaia di vittime nei ventotto anni successivi, e ancora non si arresta?».
 
Scrive Grazia Longo sulla Stampa che «il ribaltone era nell’aria sin dalle prime battute dell’udienza, quando la richiesta dell’annullamento era stata avanzata proprio dalla pubblica accusa, il sostituto procuratore generale Francesco Iacovello. Prescrizione legata alla chiusura degli stabilimenti Eternit, nell’86, a Casale Monferrato, Cavagnolo in provincia di Torino, Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Iacoviello è convinto che non si possa procedere con un verdetto di condanna “poiché nei primi due gradi di giudizio il disastro era slegato dalle morti per amianto”».
 
In effetti per i decessi e relativa accusa di omicidio (da definire ancora se colposo o doloso) il pm di Torino Guariniello ha aperto un fascicolo a parte, l’Eternit bis. L’inchiesta è stata chiusa a giugno ma non è ancora stata ancora definita la qualificazione del reato. E qualche avvocato di parte civile non nasconde il rammarico. «Forse oggi non ci troveremmo di fronte a questa prescrizione se Guariniello avesse tralasciato il disastro ambientale a favore dell’omicidio» afferma il legale Ezio Bonanni [Grazia Longo, Cds].
 
Resta il monito del sostituto pg della Cassazione, Francesco Iacoviello: «Per reati come le morti per amianto che ha una latenza di decenni, serve un intervento legislativo». Perché a volte «diritto e giustizia vanno da parti opposte». Parole che avevano suscitato l’applauso delle parti civili convinte di ascoltare la conferma di condanna a 18 anni per Schmidheiny dal pg definito: «Responsabile di tutte le condotte a lui ascritte». Alla richiesta di assoluzione il sorriso si è trasformato in maschera di dolore indignato: «Reato prescritto». Troppo vecchi i fatti cui faceva riferimento l’imputazione di disastro. «Un reato non agganciato alle lesioni e alle morti», aveva evidenziato il difensore del magnate, Franco Coppi [Virginia Piccolillo, Cds].
 
Giorgio Dell’Arti sulla Gds: «In quale punto del sistema giudiziario s’è manifestato questo buco tanto clamoroso? Perché, se sono vere le prime notizie, la Cassazione ha stabilito che i reati in questione erano prescritti già all’inizio, cioè il processo non sarebbe mai dovuto cominciare. Siccome due consessi di giudici si sono cimentati con questa faccenda, ne consegue che non tutti intendono la prescrizione allo stesso modo, altrimenti anche i giudici del primo o quelli del secondo grado sarebbero stati in grado di non procedere. È questione di leggi mal scritte, come al solito? È questione di troppe leggi sulla stessa materia e in sottile contraddizione una con l’altra, leggi confliggenti che offrono il destro a chi sentenzia di scegliere quella che più gli aggrada?».
 
Gad Lerner su Rep: «Mi sento stupido a scrivere di amianto, adesso. Perché tre anni fa c’ero anch’io a confidare nel diritto e quindi a implorare l’allora sindaco di Casale Monferrato affinché rifiutasse i 18,3 milioni di euro che l’imputato miliardario Stephan Schmidheiny gli offriva come transazione purché rinunciasse a costituirsi parte civile nel processo Eternit, al fianco di tremila famiglie. Ci sembrava una mancia offensiva, quella somma, meno della liquidazione di un manager, quota infinitesimale dei profitti miliardari accumulati quando già si sapeva che lo stabilimento intorno a sé spargeva una malapolvere mortale. Avremmo fatto meglio a incassarli – sporchi, maledetti e subito – quei soldi, da un signore svizzero resosi irraggiungibile, dotato di ottimi avvocati e potere extraterritoriale abbastanza per rendersi indisponibile anche solo a un interrogatorio? Davvero tocca rassegnarsi alla giustizia del più forte?».
 
Breve storia del processo Eternit. «Il primo dibattimento si concluse il 13 febbraio 2012 con la condanna dei due proprietari a 16 anni di reclusione per disastro doloso e omissione dolosa di misure infortunistiche. I due, padroni di quattro stabilimenti ormai falliti, si chiamano Stephan Schmidheiny e Luois Cartier de Marchienne, a quell’epoca di 65 e 91 anni, entrambi residenti all’estero (Svizzera e Belgio) e quindi, nel caso, da far instradare in Italia a sentenza definitiva. Louis Cartier morì poco dopo e l’Appello giudicò quindi il solo Schmidheiny: nonostante la fama di benefattore e di ecologista, conquistata soprattutto in Sud America, i giudici gli aggravarono la pena portandola a 18 anni e stabilendo anche risarcimenti (provvisionali) per un totale di 90 milioni di euro. A ciascuna delle 932 parti civili sarebbero dovuti andare 30 mila euro, 20 milioni alla Regione Piemonte, 31 milioni al comune di Casale Monferrato, 2 milioni al comune di Rubiera, 5 milioni alla Asl di Alessandria. Dopo ieri sera, non c’è più niente. Niente carcere, niente soldi. E pensare che all’inizio Schmidheiny aveva offerto 18 milioni alla sola città di Casale perché non si costituisse parte civile e il sindaco Demezzi (Pdl) sulle prime aveva accettato e poi era stato costretto dall’indignazione generale a fare marcia indietro perché, naturalmente, non si barattano le vite con i soldi» [Giorgio Dell’Arti, Gds].
 
Scrive Marco Imarisio sul Cds: «L’ultimo è stato seppellito sabato scorso. A salutare Luigino Bozzo nella chiesa di Roncaglia c’era la sua famiglia e qualche abitante della frazione più piccola di Casale Monferrato. Faceva il geometra, aveva 58 anni. Il mesotelioma ci ha messo appena tre mesi a farlo annegare nell’acqua dei suoi polmoni. Fuori pioveva forte. La bara è stata caricata in fretta sull’auto dell’impresa funebre. Dieci minuti dopo sul piazzale non c’era più nessuno. Quest’anno è peggio dell’ultimo. Appena metà novembre e siamo già a cinquanta. Al procuratore generale e ai giudici della Cassazione forse non può e non deve interessare. Ma in queste terre belle e sfortunate si continua a morire, come se essere nati da queste parti, aver respirato quest’aria sia una condanna destinata prima o poi a diventare esecutiva».
 
A Casale Monferrato sono morte di amianto tremila persone, senza contare quelle non dichiarate, in ogni paese se ne contano almeno una decina. Più delle vittime del conflitto in Nord Irlanda. La «fabbrica» era arrivata in città nel 1906 portandosi dietro un brevetto innovativo che mischiava fibre di cemento a quelle di amianto, capace di resistere al tempo e al fuoco. Lo chiamarono Eternit perché era destinato a durare per sempre [Marco Imarisio, Cds].
 
L’eternit è un impasto di acqua cemento e amianto, che il suo inventore (l’austriaco Ludwig Hatschek) chiamò in quel modo perché pensava fosse eterno. Era il 1901. Che l’amianto facesse male lo si sospetta praticamente da sempre, ma dagli anni ’70 lo si dice apertamente. Una lunga lotta ha permesso di dare certezza scientifica al sospetto [Giorgio Dell’Arti, Gds].
 
«Gli abitanti consideravano quello stabilimento di 94 mila metri quadrati come la Fiat di Casale Monferrato, entrarci significava dire addio alla malora, alla vita nei campi Gli operai morivano, ma erano separati dal resto della città da quel recinto di cemento in fondo al quartiere del Ronzone. Era meglio non sapere, altrimenti magari la fabbrica chiude, allora erano in tanti a pensarla così.
Nel 1969 accadde però che il vento fece un giro strano per molti mesi. In via Roma, il cuore di Casale, morirono sette “civili” in poco tempo. Morì il maestro che aveva insegnato le tabelline a intere generazioni e ieri in aula c’erano i suoi figli, uno di loro con la bombola d’ossigeno, perché non c’è scampo, ti viene a prendere, anche dopo tutto questo tempo. E insomma, si cominciò a capire che stava succedendo qualcosa di mostruoso» [Marco Imarisio, Cds].
 
Giorgio Dell’Arti (Gds): «A Casale parlano ancora del professor Salvini, medicina del lavoro dell’Università di Pavia, che una certa mattina del 1984 si presentò in fabbrica con un pennello e spennellava di qua e di là le pareti che la direzione aveva tentato di lucidare a specchio. Salvini trovò talmente tanta polvere, e così nociva, da trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica».
 
«Mia cognata è morta a cinquantacinque anni, tra sofferenze atroci, e soltanto perché lavava le tute del marito, che erano coperte di quel veleno», ricorda tra le lacrime Maria Ottone [Maria Novella De Luca, Rep].
 
A Casale è morta col mesotelioma pleurico, o con l’asbestosi, la silicosi e varie broncopneumopatie da silicati, tanta gente che in fabbrica non ci aveva mai messo piede. La polvere, portata dal vento, s’incanalava per le vie della città. Il peggio purtroppo deve ancora venire perché il picco dei decessi si registrerà tra il 2015 e il 2020 e le stime parlano di 4-5mila vittime all’anno [Giorgio Dell’Arti, Gds].
 
Il maxi-processo Eternit fino a ieri aveva rappresentato la più grande causa mai intentata in Europa e al mondo sul fenomeno dei danni alle persone e alle cose provocati dall’amianto. «Non bisogna demordere. Non è una assoluzione. Il reato c’è», è stata l’immediata reazione del pubblico ministero di Torino Raffaele Guariniello. «Abbiamo spazio per proseguire il nostro procedimento, aperto mesi fa, in cui ipotizziamo l’omicidio. Questo – ha insistito – non è il momento della delusione, ma della ripresa. Noi non demordiamo». Secca la replica a distanza del magnate Schmidheiny: «L’Italia è l’unico paese che vuole risolvere la catastrofe dell’amianto attraverso processi penali contro singole persone» [Silvia Barocci, Mes].
 
Marco Imarisio (Cds): «La prescrizione decorrerà senza dubbio dal momento in cui Eternit chiuse, nel lontano 1986. Ma quelli che conoscono Casale Monferrato e le altre città colpite da questa morte bianca che non conosce prescrizione, sanno che l’effetto sarà devastante e allontanerà intere comunità fatte di gente perbene e senza fortuna dalla giustizia. Nel 2000 la fabbrica del Ronzone fu tumulata nel cemento con un’operazione uguale a quella fatta con il reattore di Chernobyl. Gli operai si estinsero, o quasi. Ma i “civili”, ormai la maggioranza nel pallottoliere dei caduti, hanno continuato a morire nell’indifferenza».
 
Racconta Antonio, padre di una delle vittime dello stabilimento di Bagnoli: «Gli scarti dell’Eternit venivano buttati senza criterio in una discarica a cielo aperto, poco lontano dalle case. E quintali di residui sono ancora lì, accanto alle scuole, ai luoghi dove giocano i bambini. E sono loro adesso che si stanno ammalando di cancro. L’amianto uccide ancora, ogni giorno» [Maria Novella De Luca, Rep]