la Repubblica, 20 novembre 2014
Podemos, «Piegheremo la Bce e usciremo dalla Nato. Così diventeremo il primo partito in Spagna». Parola di Iglesias il leader del movimento nato dieci mesi fa
Un anno fa era un noto opinionista televisivo, giovane professore universitario alla “Complutense” di Madrid soprannominato el coleta, per via del codino. Oggi Pablo Iglesias, 36 anni, è il segretario generale, appena eletto, di quello che secondo i sondaggi è il primo partito spagnolo: Podemos, cioè “possiamo”. Un movimento che alle europee di maggio ha eletto cinque deputati presentandosi con un programma di sinistra radicale, ma allo stesso tempo rifiutando l’etichetta e sovvertendo gli schemi classici, «perché la parola “sinistra” è una metafora inadeguata ai tempi».
Podemos è nata solo dieci mesi fa, ora popolari e socialisti vi rincorrono. Com’è stato possibile?
«In Spagna viviamo una situazione eccezionale, con la crisi economica che è diventata crisi politica e di sistema. Noi in qualche modo rappresentiamo una soluzione al problema. Il movimento degli indignados ha dimostrato che esisteva un consenso sociale: il rifiuto verso la casta e la rabbia per la corruzione erano forti ma non si erano ancora tradotti in una risposta elettorale. Infatti i grandi partiti prendevano in giro il movimento: “Siete indignati? E allora presentatevi alle elezioni”. Ora non scherzano più».
Siete contrari a priori ad una eventuale collaborazione di governo con le altre forze politiche tradizionali?
«Intanto siamo un movimento aperto, dove tutti possono candidarsi, anche se di altri partiti. Non sono d’accordo con la costituzione di un fronte della sinistra, sarebbe un errore. Noi puntiamo ad una unità popolare che vada oltre alle identità. Conterà il programma: i socialisti sono disposti a cambiare se stessi, non piegando la testa di fronte ai diktat della Germania? E alla ristrutturazione del debito pubblico, ad esempio? Dipende da quello, non siamo settari».
E dell’indipendenza richiesta dai paesi baschi e dalla Catalogna cosa pensa?
«Siamo per il principio di autodeterminazione, ogni cittadino deve poter decidere su ogni questione della propria vita. Detto questo, in Spagna occorre un nuovo processo costituente dove si affronti il tema della sovranità e dei diritti. Personalmente, sono per un Paese plurinazionale, non vorrei una Catalogna fuori dalla Spagna. Ma chi sono io per decidere al loro posto?».
Se vincerete alle elezioni, la Spagna uscirà dalla Nato?
«Assolutamente sì, non è un passo facile, ma se vogliamo recuperare la sovranità, compresa quella militare, tocca dire no ai soldati stranieri sul nostro suolo».
E l’euro invece? Siete per uscire?
«Non è possibile uscire dell’euro adesso. Per cambiare la situazione attuale serve ripartire da Maastricht; allora si fecero numerosi errori che hanno portato a questa Europa delle disuguaglianze, dove ci ritroviamo coloni di Berlino senza diritti sociali. Ma con un governo popolare in Grecia con Tsipras e in Spagna con noi il potere di condizionamento sulla Bce sarà molto forte. Dobbiamo costruire un’alleanza dei paesi del sud perché il cambiamento in un solo Stato è impensabile. La nostra strategia è continentale».
Né destra né sinistra, lotta alla Casta e ai suoi privilegi, uso massiccio delle rete. Siete i grillini spagnoli?
«Io sono un uomo di sinistra. Però già Bobbio rifletteva sulla difficoltà dell’utilizzo di queste parole. Noi proponiamo un governo di emergenza che ridia centralità a questioni molto semplici: la scuola, la salute, la casa per tutti. Con i 5Stelle abbiamo delle affinità, a Bruxelles facciamo delle cose assieme, ma no, non siamo il M5S iberico».
Matteo Renzi le piace?
«È un grande comunicatore, ma all’atto pratico fa la stessa politica dei suoi predecessori. Non mette davvero in discussione l’austerità e i paradisi fiscali. È un esponente del partito di Wall Street e fa le riforme con Berlusconi. Che infatti è il più felice di tutti».
Sarà lei il candidato premier a novembre 2015?
«Faremo delle primarie online, come sempre. Sono disponibile, ma come dice el Cholo Diego Simeone dell’Atletico Madrid, si vedrà partita dopo partita».
Un’ultima domanda: quali sono i suoi punti di riferimento culturali?
«Sicuramente Gramsci e Marx. Dopo la morte di Eric Hobsbawm invece mi sto appassionando a Perry Anderson, l’ex direttore della rivista New Left Review».