La Stampa, 20 novembre 2014
A proposito della sentenza Eternit. Spesso i legislatori, a partire da Giustiniano per finire con l’utopia illuminista, hanno cercato di imporre ai giudici il divieto di interpretare le leggi. E lo stesso divieto di interpretazione è divenuto oggetto di interpretazione. Ovviamente. Allora si è ripiegato sull’idea che i giudici interpretano bensì la legge, ma per affermare l’interpretazione esatta. E se tribunali e corti d’appello sbagliano, la Cassazione rimette le cose a posto, enunciando l’interpretazione esatta. Se l’interpretazione esatta va contro le attese di giustizia, peggio per la giustizia
Come tuttora prescrive l’articolo 65 dell’Ordinamento giudiziario e come sottolineò il ministro Grandi nel presentarlo al Re nel 1941, la Cassazione è istituita per assicurare «l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge». Spesso i legislatori, a partire da Giustiniano per finire con l’utopia illuminista, hanno cercato di imporre ai giudici il divieto di interpretare le leggi. E lo stesso divieto di interpretazione è divenuto oggetto di interpretazione. Ovviamente. Allora si è ripiegato sull’idea che i giudici interpretano bensì la legge, ma per affermare l’interpretazione esatta. E se tribunali e corti d’appello sbagliano, la Cassazione rimette le cose a posto, enunciando l’interpretazione esatta. Se l’interpretazione esatta va contro le attese di giustizia, peggio per la giustizia. Beccaria, 250 anni orsono, sosteneva che era meglio che il giudice pronunciasse una sentenza ingiusta applicando alla lettera la legge, piuttosto che la interpretasse liberamente. Spettava al legislatore modificare la legge.
Da allora la riflessione sulla natura e sugli esiti dell’attività interpretativa è andata avanti ed ora nessuno più crede veramente (anche se qualcuno continua a dirlo) che esista sempre una interpretazione «esatta», rispetto alla quale le altre ipotizzabili sono «sbagliate». Tanto più da quando sopra le leggi c’è la Costituzione ed anche – per venire al caso ieri deciso dalla Cassazione – una Convenzione europea dei diritti umani che impone agli Stati di proteggere efficacemente la vita delle persone, anche con la repressione penale.
La motivazione della sentenza della Cassazione sarà certo dotta e ricca di richiami di dottrina e di precedenti giurisprudenziali. Non sarà certo possibile accusarla di sciatteria. Ed è persino possibile che contenga espressioni di rammarico per essere stata costretta – da una esatta interpretazione della legge – a giungere alla conclusione che gravissimi reati erano stati commessi, ma che non si può (addirittura non si sarebbe dovuto) procedere, perché essi sono da tempo prescritti.
Ma come è possibile che due collegi giudicanti diversi abbiano ritenuto e diffusamente motivato che invece quel disastro a lungo latente e poi progressivamente rivelatosi con la malattia e la morte di tante persone, si era prolungato nella sua opera letale, ben oltre l’istante in cui le fibre di amianto avevano silenziosamente cominciato la loro opera? Se non è possibile dire che le interpretazioni adottate dai primi giudici fossero «esatte» e sia «sbagliata» quella della Cassazione, è però lecito chiedersi se non c’era davanti ai giudici una scelta, ragionata e seriamente argomentabile, tra una interpretazione che metteva d’accordo diritto e giustizia e un’altra che proclamava summum jus, summa injuria.
Solo pochi giorni orsono la Cassazione francese – certo non incline all’eversione del diritto ed anzi figlia dell’idea che il giudice sia solo bocca della legge – ha impedito la prescrizione di orrendi delitti rimasti a lungo nascosti, affermando che la prescrizione decorre da quando l’autorità pubblica ne ha notizia e può quindi procedere. Interpretazione diversa da quella prima prevalente. Più «esatta» oppure più «giusta»? Alla nostra Cassazione è mancata la capacità di affermare un diritto che non oltraggia la giustizia. Sarà il diritto a soffrirne e la fiducia dei cittadini nella legge.