Corriere della Sera, 20 novembre 2014
Umberto D., il capolavoro di Vittorio De Sica, si trascina dietro la famosa frase di Andreotti: «I panni sporchi si lavano in famiglia». Cos’era successo? Ce lo svela Tatti Sanguineti, grande retroscenista del cinema italiano
Ho visto Umberto D. di Vittorio de Sica almeno tre o quattro volte, e non è un film che ami particolarmente, ma quando ho sentito il racconto che ne ha fatto Tatti Sanguineti ho sperato che Iris lo mettesse subito in onda.
In «Storie di cinema» – la puntata di martedì sera era dedicata alla celebre polemica tra Giulio Andreotti e Vittorio De Sica – Sanguineti ha trovato la sua dimensione di retroscenista del cinema italiano: filologo e non ideologo, storico e non storicista. Umberto D. si trascina dietro la famosa frase di Andreotti: «I panni sporchi si lavano in famiglia». Cos’era successo? De Sica e Zavattini erano riusciti a girare il film, barando un po’ sulla sceneggiatura che andava presentata al ministero per poter accedere ai fondi del Credito cinematografico.
Andreotti, che all’epoca dei fatti, nel 1952, era sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo De Gasperi, con delega allo Spettacolo, aprì con il regista una diatriba, destinata a diventare celebre, sulle responsabilità del cinema nel rappresentare l’Italia: «Se è vero che il male si può combattere anche mettendone duramente a nudo gli aspetti più crudi», si legge in un articolo di Andreotti su Libertas, «è pur vero che se nel mondo si sarà indotti, erroneamente, a ritenere che quella di Umberto D. è l’Italia della metà del secolo ventesimo, De Sica avrà reso un pessimo servigio alla sua patria, che è anche la patria di Don Bosco, del Forlanini e di una progredita legislazione».
Nel frattempo, dopo anni di duro lavoro e di grandi sforzi economici, Sanguineti ha girato un fondamentale documentario su Andreotti, Il cinema visto da vicino, presentato quest’anno alla Mostra di Venezia. È un filmato che andrebbe proiettato nelle sale, in tv, nelle scuole di cinema perché disegna un ritratto magistralmente bilanciato di un’epoca gloriosa del cinema italiano e intreccia i suoi tratti più fascinosi e i più temibili.