La Stampa, 20 novembre 2014
Ecco come si occupa una casa a Milano. I lupi di Corvetto raccontano come si vive da abusivi tra racket, spaccio, povertà e coltelli
I “lupi” del Corvetto, affamati e smunti, se ne stanno stravaccati al bar del cinese in piazza Ferrari, cuore dello spaccio e delle occupazioni. Un posto, racconta «Jessica e basta» (che i cognomi da queste parti sono stati aboliti) «dove tutte le sere succede un casino ma la polizia non si vede mai. E dire che una volta ti potevi andare a fare una canna in piazza, salutare gli amici e tornare a casa tranquillo. Ora invece, solo feccia e coltelli».
E se si pensa a delle facce patibolari, Omar e i suoi fratelli sembrano nati apposta per far paura. Si dividono un caffè, uno solo, per sette quanti sono. I cappucci delle felpe tirati su, le sigarette che girano e le palle pure, perché la polizia sta in fondo alla via in forze, a presidiare le villette sgomberate degli anarchici. Lo sanno che prima o poi potrebbe toccare a loro. Nel quartiere tutti sanno tutto ma nessuno dice niente: è la prima regola della sopravvivenza. Lo slogan sul muro sintetizza bene: «Se la casa è un lusso, occupare è necessario». Così ogni “lupo” ha la sua casa, occupata naturalmente. Omar fa un gesto infastidito: «Se proprio ci tieni, te la faccio vedere». E indica col dito un balconcino scrostato. «Ecco, sto lassù, sono cinque metri quadrati che divido con la mia fidanzata, dormiamo su un materasso e mangiamo, se va bene, tre volte alla settimana. Se avessi soldi, pagherei. Ma non ho documenti, non ho lavoro, non ho niente».
Docce nei bagni pubblici
Per la doccia ci si arrangia ai bagni pubblici e per la fame, si fa la fila alla Caritas. Per il resto, è il bar dei cinesi, il controllo dello spaccio, il racket delle occupazioni, le mamme con i figli. Perché sono le donne, spesso, le vere avanguardie della guerra tra poveri: «È stata la mia fidanzata a dirmi: vieni, lì c’è una casa vuota. Ci siamo arrivati di notte, ho sfondato la porta e via». In cinque minuti, siamo già circondati: parliamo di spaccio? «Ognuno si arrangia come può. Stai pure tranquillo, qui non ti tocca nessuno. Io vengo dal Marocco, clandestino. Ma la mia storia a chi vuoi che interessi?». La storia di Omar e dei suoi 29 anni sbandati è la stessa di Mohamed, di Yusuf e degli altri maghrebini che piano piano hanno preso possesso di un quartiere che una volta, appena 30 anni fa, era la base dell’aristocrazia operaia, quella della Ferro Tubi, della Brown Boveri. Quando arrivavano “quelli del Corvetto”, i cortei si aprivano, i servizi d’ordine tacevano. Potevano lasciare le loro case e andare al lavoro o in manifestazione, gli operai. Al ritorno, li accoglievano gli schiamazzi dei bambini, gli odori dei minestroni, il circolo del Pci, poi diventato Pd, quello di via Mompiani, dove tutto è cominciato con l’assalto di due settimane fa.
L’occupatore legale
Adesso, che le fabbriche hanno chiuso, gli operai sono spariti e le generazioni cambiate. Se lasci la casa, può darsi che al ritorno sia stata occupata. Così racconta Massimo, imbianchino «in mobilità», e spiega che da queste parti è nato anche un nuovo lavoro: «l’occupatore legale». Si paga qualcuno perché ti occupi la casa quando non ci sei, almeno al ritorno ne puoi tornare in possesso.
Mohamed, arrivato dalla Libia 9 mesi fa su un barcone con 350 persone, ridacchia: «Posto ai dormitori non ce n’è. Dove dovremmo andare? Gli italiani ci guardano male ma noi siamo più poveri di loro». Poi cala l’asso: «Perché non fanno una sanatoria?». Persino i “lupi” conoscono i termini della burocrazia. Milano, Corvetto.
Tra anarchici e parrocchie
Il centro è vicino, ma la città distante. Ci si arriva superando il cavalcavia di corso Lodi e poi girando a destra dal piazzale che ha dato il nome al quartiere. Incrocio di auto e di malavita pesante. Le cronache nere qui hanno sempre trovato spunti per i regolamenti di conti in piazza Rosa e lo spaccio in piazza Ferrari. Le facciate dei caseggiati sono in ordine ma dentro, s’intravede il degrado di certi “fortini”, dove nelle cantine succede di tutto. In mezzo, via dei Cinquecento, con l’ospizio per coniugi anziani e la parrocchia con la porta blindata. E via Ravenna, dove gli anarchici antagonisti hanno perso due roccaforti. All’orizzonte le torri prefabbricate in cemento grigio che fecero la fortuna di una bella copertina di Enzo Jannacci: davanti alle torri, in primo piano una fila di scarpe abbandonate e lo sfondo di un cielo violento. Una profezia. Il giorno dopo gli sgomberi, il clima è teso, fare domande non è sano. Rispondere, anche peggio. Perfino il parroco, all’ora di pranzo, fa sapere dalla segretaria che non ha niente da dire.
«Colpa dell’Aler»
Invece Mimma, 48 anni che sembrano il doppio, di paura non ne ha più. Però niente foto, niente cognomi. «La colpa di tutto questo casino? Dell’Aler che tiene vuoti gli appartamenti. Così quelli occupano e alla fine la pigione gliela paghiamo noi che già facciamo fatica. Io abito in un appartamento di 37 metri quadrati a 230 euro al mese. Quando i miei due figli erano piccoli, 20 anni fa, avevo fatto domanda per averne uno più grande. Sono andata a vedere le classifiche l’anno scorso e vuole sapere a che posto sono? Beh, prima di me ce ne sono altri 5000. Ha capito? E questi tengono le case sfitte». Sorride e si copre la bocca per non mostrare i denti marci. La crisi da queste parti è roba che si sente sulla pelle. «Il lavoro l’ho perso tre anni fa. Badavo agli anziani. Mio marito invece lo hanno licenziato l’anno scorso». E per pagare, come si fa? «Eh…ci si arrangia, si mangia meno, non si va dal medico». Ha fatto bene la polizia ad intervenire? «Mah…». Qui gli “sbirri” non sono amati, nemmeno da chi paga l’affitto. Eppure, nell’inevitabile «conflitto sociale» che cova sotto le ceneri di graduatorie truccate, occupazioni abusive, clientelismo e scandali di corruzione (quelli sull’Aler intasano interi scaffali a palazzo di giustizia), gli uomini in divisa per il momento sono gli unici a garantire una parvenza di civiltà. La sicurezza, è un’altra cosa. Sparatorie ce ne sono sempre state, ma adesso, racconta Jolanda, «qui c’è gente che gira col machete o le mannaie. Quando ero piccola in piazzale Rosa si coltivavano i gerani. Adesso li hanno sradicati e fiori non ne crescono più, non in questo letamaio».