Corriere della Sera, 20 novembre 2014
La dura vita dietro ai fornelli. Dalle padelle surriscaldate per far bruxciare gli apprendisti al silenzio di Marchesi che vale più di mille urla. Altro che Hell’s Kitchen
Qualche giorno fa a Parigi c’è stato l’attacco alla Bastiglia delle Hell’s Kitchen. Riferisce la Bbc che alcuni tra i migliori cuochi francesi, tra cui la star tv Cyril Lignac, si sono riuniti per denunciare la violenza tra i fornelli più premiati e famosi del mondo. Non la violenza spettacolare, intrigante ma farlocca dei reality, con il terribile Belzebù Gordon Ramsay capostipite di tutti i diavoli con la toque, bensì quella vera consumata oltre le sacre porte stellate. La rivolta è nata dall’ultimo clamoroso episodio accaduto in uno dei templi della ristorazione francese, Le Pré Catelan di Frédéric Anton, tre stelle Michelin, Relais et Chateaux, un padiglione in stile Napoleone III al Bois de Boulogne: un assistente chef è stato licenziato per aver bruciato a più riprese la mano di un apprendista con un cucchiaio incandescente.
«A me, quando ho lavorato in Francia da Ducasse, è successo qualcosa di simile – racconta Andrea Berton, fresco di stella col suo nuovo ristorante milanese – ma era uno scherzo. Mi ero allontanato e un cuoco mi ha riscaldato l’impugnatura della padella rendendola incandescente. Afferrandola mi sono bruciato e l’ho fatta cadere. Un disastro. E lui sogghignando: devi prenderla con il torcione. Ho lasciato passare due mesi e gli ho giocato lo stesso tiro. Ma non ho mai subito, né visto scene di violenza, né di vessazione sistematica».
Nella riunione dei congiurati, è stata sconvolgente la testimonianza di Adeline Grattard, definita «wok star» (da le Monde ) per l’uso della la padella orientale, protagonista nel suo ristorante Yam’Tcha. Un successo. Ora è/ha una stella ma l’inizio è stato duro. «Ricordo insulti e doppi sensi dal personale di sesso maschile. Tipo: fa caldo, metti un top traforato». Adeline Grattard ha dovuto trasportare oggetti più pesanti dei colleghi maschi. «Dovevano farmi sentire inferiore».
Una cosa del genere non le sarebbe mai successa nella cucina della Madia di Licata, con Pino Cuttaia. «Io vengo dalla scuola di una volta, in cui il calcio del sedere di uno chef era come la bacchettata della maestra. Gesti che oggi vedo come positivi, di avviamento. Negli antichi mestieri al più piccolo, all’ultimo arrivato toccavano i lavori più umili. Ho fatto il meccanico e dovevo pulire i motori con la nafta. Cominciare dal basso fa parte di un percorso. Ma non ho mai vissuto, né saputo di atti di bullismo. E le ragazze che lavorano con me non hanno mai buttato l’immondizia all’una di notte. È questione di rispetto, della mia sensibilità. Il segreto di una buona cucina è la creazione dei rapporti».
Jacques Cagna, altro famoso cuoco parigino, ha testimoniato degli abusi subiti quand’era un giovane apprendista e spera nella distribuzione del «manifesto anti-bullismo in cucina». La riunione si è sciolta con l’imperativo: l’era del silenzio è finita. Carlo Cracco, star di Hell’s Kitchen Italia, spiega: «Hell’s Kitchen serve per mettere alla prova i giovani cuochi. Io ho lavorato in Francia e queste cose non le ho mai vissute. Alla scuola alberghiera un po’ di nonnismo c’era, ma dopo, sul lavoro, niente. Mi ricordo Gualtiero Marchesi che ti arrivava alle spalle e ti fissava, in silenzio. Valeva più di mille urla. Il servizio è una prova fisica, devi far uscire dei piatti in un certo tempo». Andrea Berton concorda: «La nostra è come una partita di calcio, solo che si “gioca” due volte al giorno, non due alla settimana. Il richiamo verbale, anche secco, fa parte del lavoro. Il cuoco è come un allenatore a bordo campo, guida una squadra e ha bisogno di essere ascoltato e capito in fretta. Marchesi ha sempre spiegato molto. Ti puoi arrabbiare ma devi far capire l’errore a chi ha sbagliato, il richiamo fine a se stesso non serve».
Insomma, al confronto delle Hell’s Kitchen francesi, quelle italiane sono cucine paradiso.