Mattia Feltri, La Stampa 20/11/2014, 20 novembre 2014
SCELTA CIVICA, L’ANTIPOLITICA PERSA NELLE LOGICHE PARTITICHE
Nel gennaio del 2013, l’ex premier Mario Monti presentò la sua squadra al Kilometro Rosso di Bergamo. Posto evocativo: luogo di lavoro e di innovazione, padrone di casa Alberto Bombassei, il presidente della Freni Brembo che sarebbe diventato parlamentare. Monti faceva il gigione, per quel che gli riesce. «Se non volete fare una scelta politica, fate una scelta civica», disse con ambizione d’arguzia, citando il nome del partito come programma ontologico. La scelta civica - ancora con le minuscole - era la necessaria contrapposizione alla scelta politica, quella bestia mai sazia che nei mesi precedenti aveva impedito al suo governo di abbassare i costi della macchina e di ridurre i parlamentari, questioni cui avrebbe senz’altro messo mano «nel primo consiglio dei ministri». E lì c’era tutta la società civile, c’era Luca Cordero di Montezemolo, che con la sua Italia Futura aveva dato le basi al movimento, e c’era Andrea Riccardi, il fondatore di Sant’Egidio, e il giuslavorista Pietro Ichino, il supermanager Enrico Bondi, l’Italia che ce la fa rappresentata dalla pluriolimpionica Valentina Vezzali, un po’ di pop con la cantante Annalisa Minetti, e poi avvocati, imprenditori, docenti universitari. Era una specie di Movimento cinque stelle con titolo di studio e buone maniere, messo in piedi per dimostrare che la politica la si fa meglio se politici non si è.
Ieri è giunta l’ufficializzazione che i senatori Mario Mauro, Angelo D’Onghia e Tito Di Maggio – tutti ex Scelta civica – hanno fuso il loro Popolari per l’Italia con Grandi Autonomie (Mauro, ciellino, ex berlusconiano, è uno dei pochi politici di professione imbarcato nell’avventura, insieme con Lorenzo Dellai che a Trento si era inventato l’aggregazione a cui Francesco Rutelli si sarebbe ispirato per la Margherita). Sono le stesse ore in cui si viene a sapere che alla Camera è stata cacciata di peso l’addetta stampa del Gruppo, Chiara Calace, ma verrà ripresa da Andrea Romano, titolare di Storia contemporanea a Tor Vergata e appena transitato al Partito democratico. Vi state perdendo? Non c’è problema, non siete gli unici: è tutta Scelta civica che si è persa. Montezemolo fu il più saggio e prese le distanze una decina di minuti dopo la fondazione. Riccardi seguì a ruota. E Monti, lo ricorderete, la legislatura era cominciata da otto mesi, lasciò la carica di presidente per dissidi interni piuttosto intricati. Ecco, avete idea di chi sia oggi il presidente di Scelta civica? È il costituzionalista Andrea Mazziotti di Celso. E il segretario? È il giurista Renato Balduzzi. Avete una vaga idea di che faccia abbiano?
Certo, lì dentro non si sono mai più ripresi dall’8,3 per cento guadagnato alle Politiche. Un risultato da baciarsi i gomiti, specie se paragonato allo zero virgola delle successive Europee, ma da spararsi se si coltiva la speranza – e la coltivavano – di prendersi Palazzo Chigi. Sono seguite scissioni e controscissioni, fughe, cambi di casacca, sostituzioni di capigruppo, dimissioni, il tutto stando abbarbicati al governo di turno, prima quello di Enrico Letta e poi quello di Matteo Renzi. Erano trentasette deputati e diciannove senatori, sono ventiquattro e sette (se la nostra contabilità è aggiornata), un piccolo mondo orgoglioso e anche po’ sprezzante ridotto a un presepe di scamiciati che in paragone i più disinvolti partitucoli hanno un portamento da club inglese. Ci resterà un lascito prezioso: quando qualcuno si farà avanti, e succederà di nuovo, con il mito della società civile, cioè l’Italia pulita contro l’Italia sporca dei palazzi, ricorderemo una frase di Monti: «Non vorrei che ci aveste preso per dei politici». Sì, accidenti.