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 2014  novembre 20 Giovedì calendario

«Mia figlia aveva il diritto di morire». Parla Debbie Ziegler, la mamma di Brittany

Pubblichiamo la lettera della mamma di Brittany Maynard, la 29enne americana affetta da tumore al cervello incurabile, che ha scelto l’eutanasia. La lettera di Debbie Ziegler, diffusa dall’associazione che si batte per il suicidio assistito Compassion & Choices si rivolge a chi ha commentato negativamente la scelta della figlia, soprattutto la Chiesa cattolica. Pur senza citarlo, risponde a Monsignor Ignacio Carrasco de Paula, presidente della Pontificia accademia per la vita, che aveva parlato di gesto “riprovevole”.
Sono la madre di Brittany Maynard. Scrivo in risposta a vari commenti espressi sulla stampa e online da singoli e istituzioni, che hanno provato a giudicare attraverso le loro convinzioni ciò che per Brittany e per la nostra famiglia è sempre stato una questione di diritti umani. Imporre le proprie convinzioni a una questione di diritti umani è sbagliato. Giudicare una scelta personale come “riprovevole” perché non conforme ai valori di qualcun altro è immorale. La dolce morte scelta da mia figlia ventinovenne, invece di affrontare degrado fisico e mentale e intenso dolore, non merita di essere etichettata così da perfetti sconosciuti, che vivono in un altro continente, che non l’hanno conosciuta né sanno i particolari della sua situazione.“Riprovevole” è una parola molto dura. Significa “molto cattivo; che merita forti critiche”. “Riprovevole” è una parola che da insegnante ho usato per descrivere le azioni di Hitler e altri tiranni o lo sfruttamento dei bambini da parte dei pedofili. Come madre di Brittany, trovo difficile credere che chi l’ha conosciuta avrebbe mai scelto questa parola per descrivere le sue azioni. Brittany dava tanto. Era impegnata nel volontariato. Era un’insegnante. Si occupava di deboli e bisognosi. Lavorava per rendere il mondo un luogo migliore.Questa parola è stata usata pubblicamente nel momento in cui la mia famiglia era più ferita. In lutto. Una critica pubblica con toni così forti da parte di persone che non conosciamo è stato come prenderci a calci mentre cercavamo di trovare respiro.Le persone e le istituzioni che si sentono in diritto di giudicare le scelte di Brittany mi feriscono e mi infliggono un dolore indicibile, ma non mi dissuadono dall’appoggiare la scelta di mia figlia. Oggi è proprio l’enorme confusione e arroganza che trattiene molti che si avviano dolcemente verso la morte. A loro raccomando di riflettere da soli. Di formulare le proprie volontà quando sono in grado di farlo. Di farsi spiegare tutte le opzioni a loro disposizione, nel caso in cui fosse loro diagnosticata una malattia incurabile, debilitante, dolorosa. Fate le vostre ricerche. Chiedete ai vostri familiari di aiutarvi mettendovi davanti alla dura realtà. Chiedete al vostro medico di essere brutalmente franco nei vostri confronti. E poi decidete come procedere. È la vostra scelta.La “cultura della cura” ha portato alla suggestiva convinzione che i medici possano sempre trovare rimedio ai nostri problemi. Così abbiamo perso di vista la realtà. Ogni vita finisce. La morte non in tutti i casi è nemica. Talvolta una morte dolce può essere un dono. Medici fuorviati, prigionieri dell’ambiziosa convinzione di dover prolungare la vita a qualsiasi costo, provocano a singole persone e alle loro famiglie sofferenze non necessarie. Brittany ha tenuto testa agli arroganti. Non ha mai pensato che ci fosse qualcuno che avesse il diritto di dirle quanto a lungo dovesse soffrire. Per chi è malato terminale il diritto di morire è una questione di diritti umani. Pura e semplice.
(traduzione Anna Bissanti)