Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Bisogna credere oppure no alle due grosse sorprese che arrivano da Teheran?
• Quali sorprese?
Hanno eletto il presidente in un solo colpo, senza bisogno di ricorrere al ballottaggio. E hanno eletto come presidente il moderato Hassan Rohani, un mullah di 64 anni dall’aria bonaria (quando vuole). In quel contesto “moderato” suona come da noi “progressista”. Rohani era il candidato dei giovani e di quelli che si sentono eredi della rivoluzione verde del 2009, quella costata decine di morti. Bene, nessuno s’aspettava che il candidato di sinistra prevalesse a Teheran. I vari esperti puntavano senz’altro su una finale (cioè un ballottaggio) tra Said Jalili, negoziatore fino a ieri dell’affare nucleare, e uno tra Velayati - severo ex ministro degli Esteri - e Qalibaf, un tecnocrate che ha fatto (piuttosto bene) il sindaco della città. C’era tuttavia un piccolo particolare: i tre conservatori si detestano e non sono stati capaci di far confluire i voti su uno solo di loro. L’altro candidato moderato, Mohammad-Reza Aref, pur ammesso alla competizione dal Consiglio dei Guardiani, ha preferito ritirarsi per permettere agli elettori progressisti di concentrare i loro voti su un unico concorrente. Il quale era anche sostenuto a gran voce dai due ex presidenti Khatami e Rafsanjani, quest’ultimo tenuto fuori dalla competizione per volere dei Guardiani. Tutto questo ci farebbe pensare che le elezioni si sono svolte regolarmente, cioè senza brogli. Lo stesso Rafsanjani ha twittato: «Sono state le elezioni più democratiche del mondo, i nemici dell’Iran non potranno dubitarlo».
• Lei ha l’aria di non crederci troppo.
Beh, non ci metterei la mano sul fuoco. La percentuale con cui Rohani ha vinto è la minima indispensabile, cioè il 50,68%. Possibile che Khamenei, la Guida Suprema, abbia lasciato fare? L’altra volta Ahmadinejad fu eletto certamente con una notevole sequenza di brogli. Perché stavolta il Papa iraniano avrebbe dovuto rinunciare alla scelta del suo uomo? Vi sono parecchie considerazioni a supporto di questa tesi. Primo: di sicuro il regime non poteva permettersi un’altra serie di violenze e di contestazioni come quelle di quattro anni fa. Secondo: il paese è allo stremo, nonostante l’aiuto cinese che compra dall’Iran il petrolio che l’Iran non può vendere per via delle sanzioni. Tanto per dirne una: con l’inflazione al 30 per cento, importare generi di prima necessità ha un costo proibitivo. C’è poi, collegata alla questione delle sanzioni, quella di una riapertura di negoziato con il resto del mondo, e in particolare con gli Stati Uniti, per il nucleare. Rohani ha già fatto l’esperienza di negoziatore per il nucleare dieci anni fa: aveva concordato le visite improvvise di ispettori che verificassero il destino dell’uranio arricchito, questo aveva permesso di continuare il programma stabilito. Tutto finì poi con la prima elezione di Ahmadinejad nel 2005. Facciamo attenzione: il Consiglio dei Guardiani, che fa quello che vuole il papa Khamenei, ha escluso in anticipo dalle elezioni tutti i candidati legati ad Ahmadinejad. Avremmo dovuto dare più importanza a questo segnale, in sede di pronostico.
• C’è anche il dossier Siria.
In campagna elettorale se n’è parlato poco o niente. A Teheran considerano la Siria una loro provincia. Sono schierati con Assad. Non so che conseguenze avrà la presa d’atto, da parte di Obama, del fatto che il presidente siriano ha adoperato armi chimiche. Certo, anche su questo tavolo - al quale siedono in posizioni filo-regime anche russi e cinese - si dovrà aprire una trattativa globale ed è meglio, naturalmente, che il punto di vista persiano sia sostenuto da un negoziatore «fine e flessibile», come è stato definito il nuovo presidente. Del resto già in campagna elettorale Rohani ha dichiarato di voler «riconciliare l’Iran col mondo». E un’altra volta, riferendosi agli Stati Uniti, ha voluto precisare che «amicizia o ostilità non sono dati permanent».
• Si potrebbe sapere qualcosa di più del personaggio?
È stato un fedele di Khomeini, ha partecipato alla lotta politica contro lo Scià, per questo ha subito galera ed esilio. Parla correntemente altre cinque lingue oltre la sua (inglese, tedesco, francese, russo, arabo), è laureato in legge, è un prete (un imam), twitta a tutto spiano. Rientrato in patria dopo la caduta di Reza Pahlavi, ha percorso tutta la carriera, sedendo spesso alla destra di Khamenei. La famiglia Karroubi, il cui patriarca Mohammad è agli arresti domiciliari dal 2009, lo accusa di non aver detto una parola sulle violenze di questi anni. Altri ricordano quando propugnava l’impiccagione per chiunque pretendesse una stampa libera. Episodi che ci dicono sostanzialmente qualcosa che dovremmo sapere senza bisogno di troppe imbeccate: il nuovo presidente è un opportunista. E come potrebbe essere altrimenti, alla fine?
• È per questo che ha vinto?
Ha vinto perché ha saputo collocarsi a sinistra (per dir così) proibendo a tutti i suoi sostenitori di esagerare in slogan, cortei e invocazioni degli eroi del 2009. Nei suoi discorsi ha promesso un governo di «speranza e prudenza». Meglio così, no?
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