Paolo Conti, Corriere della Sera 16/06/2013, 16 giugno 2013
POTERE, ESTETICA E CONSENSO. GLI ERRORI POLITICI NEI MUSEI
Arte contemporanea e Potere. Anzi, il Potere dell’Arte Contemporanea. Al punto che il Potere spesso occupa posti che, in altri Paesi, sono destinati ai tecnici, a una classe dirigente scientificamente preparata. In Italia spesso avviene il contrario: la politica interviene e sceglie, e non sempre guarda alla competenza. Mettendo in pericolo la crescita di professionalità autonome.
Achille Bonito Oliva, membro del comitato scientifico di Palazzo Grassi a Venezia, giurato (con Beatrice Sandretto Re Rebaudengo e Francesco Manacorda) del triumvirato che dovrà scegliere entro il 30 giugno il nuovo direttore del Castello di Rivoli di Torino dopo Beatrice Merz, membro del nuovo comitato scientifico del museo Maxxi di Roma, spiega così quel legame: «L’arte contemporanea produce un’immagine di dinamismo, aggiornamento, sensibilità. E la politica, occupandosi di arte contemporanea, si addobba di tutto questo, ricavando una quota aggiuntiva di consenso. Poi c’è l’economia: il valore materiale dell’opera amplifica e supporta il suo valore culturale». Potere, mercato, estetica, consenso. E cosmopolitismo. La connessione con il mondo più attuale e all’avanguardia. Un clamoroso mix che spiega perché, per esempio a Torino, il polemico addio di Giovanni Minoli alla presidenza della Fondazione Rivoli abbia spaccato la città e incrinato un rapporto personale (quello di Minoli col sindaco Piero Fassino, amici da ragazzi).
Domani il consiglio comunale di Torino si riunirà per decidere sul Rivoli. Se lasciargli piena autonomia o farlo confluire, causa crisi, in una super-fondazione con la Galleria di Arte Moderna e Artissima. Ovviamente c’è di mezzo molto denaro. Le due fondazioni bancarie coinvolte, Crt e Compagnia di San Paolo. Poi Unicredit. E il potere. La Regione e il Comune. Non sarà un gioco da ragazzi. Minoli e Merz rivendicano un +13% di visitatori e un milione di euro risparmiati durante la loro gestione. Rivoli è un marchio noto nel mondo, la ricchissima collezione ospita Claes Oldenburg, Keith Haring, Anselm Kiefer, Bill Viola, e sono solo alcuni dei tanti nomi. Un valore materiale di milioni di dollari.
I musei italiani di arte contemporanea vivono una crisi figlia della recessione. Milano ha rinunciato al progetto del Mac (Museo di Arte Contemporanea) alla fine del 2012: 6-7 milioni di gestione annui sono sembrati troppi. Eppure si trattava dell’opera pubblica più prestigiosa del masterplan di CityLife. A Palazzo Marino hanno preferito non avviare un meccanismo rischioso. C’è il fantasma di Napoli, marzo 2012. Il Madre, Museo di arte contemporanea, rischiò la chiusura per un crollo economico-gestionale. Trenta licenziamenti annunciati, gli artisti che avevano donato le opere (Kounellis, Paladino, Clemente) progettarono di ritirarle. Ora l’aria è cambiata, spiega il neodirettore Andrea Viliani: «La rinascita è nella possibilità di programmare assicurata dai fondi pluriennali finalmente stabilizzati della Regione Campania e dell’Unione europea. I tagli ci sono stati. Bisogna prenderne atto, la crisi spinge a cambiare mentalità. Meno mostre, più collaborazioni con altre istituzioni, maggiore apertura verso la comunità». L’arte contemporanea non è un lusso? «Penso sia un dovere per una comunità registrare e consegnare alle nuove generazioni i futuri Michelangelo o Caravaggio». E il nodo del Potere? «Impossibile non interagire con mercato e politica. I margini di libertà stanno nel giusto equilibrio. E se si individuasse finalmente una giusta politica di defiscalizzazione per chi finanzia un museo, quei margini aumenterebbero».
Arte contemporanea e Potere, si diceva. Quando alla presidenza della Fondazione Maxxi di Roma arrivò Giovanna Melandri, deputato ed ex ministro Pd (nominata nell’ottobre 2012 dall’ex ministro Lorenzo Ornaghi) scoppiò una bufera politica. Melandri oggi rivendica dati alla mano un aumento del 30% dei visitatori nel gennaio-maggio 2013 rispetto al 2012. Ma c’è chi le rinfaccia addirittura di ricorrere alle lezioni di yoga sul piazzale pur di far cassa. Melandri replica: «Capisco l’interrogativo. Cioè se abbia senso tenere in piedi certi giganti nella situazione in cui ci troviamo. Io penso che la crisi costringe ad accettare sfide, il 30% in più lo dimostra. Bisogna concepire questi grandi musei come degli hub. Cioè mostre inappuntabili dal punto di vista scientifico e curatoriale, infatti la nostra offerta ora è al top: Vezzoli, Ghirri, Boetti. Poi c’è un centro della creatività contemporanea in cui si incontrano arte, architettura, cinema, letteratura, fotografia, moda, design. Il nostro bilancio è di 10 milioni di euro l’anno, la mano pubblica interviene per il 60%. La mia sfida è il modello Tate Gallery: 50%-50%. Al party di inaugurazione della mostra Vezzoli abbiamo radunato 400 mila euro di donazioni. E quindi sì, anche lo yoga, perché no?».
Di tagli parla con serenità anche Cristiana Collu, ex direttore del Man, Museo d’arte di Nuoro, ora direttore del Mart di Rovereto, considerato da molti un’isola felice: «Quando in un Paese bisogna rimettere le cose in ordine, la cultura non può chiamarsi fuori. Ma tagliare solo sulla cultura è un danno per il futuro, significa privarci di strumenti che saranno utili alle nuove generazioni. Impossibile immaginare che un museo di arte contemporanea viva senza fondi pubblici. Ma quei fondi hanno un senso se sovvenzionano un più vasto progetto culturale condiviso di cui le amministrazioni locali e il museo sono partner convinti». Tagli e crisi si sentono anche al Mart: la provincia di Trento ha abbassato i contributi di parte corrente dai 6.229.862 del 2011 ai 5.614.107 del 2012 e la flessione dei visitatori è stata tangibile. Ancora Collu: «I tagli non sono stati mortali e quando sento parlare di altre flessioni dal nostro presidente Franco Bernabè, quasi mi consolo...».
E per il futuro? L’economista della cultura Michele Trimarchi sostiene che è in discussione un intero modello: «L’arte contemporanea rappresenta una bolla spesso alimentata dalla società mondana. Si rischia di puntare su qualcosa che poi, alla resa dei conti storici, potrebbe rivelarsi privo di importanza. Meglio immaginare i musei come luoghi di transito di prestiti, di affitti, di mostre. L’arte contemporanea, per sua natura, non è incline ad essere certificata. Un museo è luogo di memoria: per il contemporaneo ha bisogno di muse più prospettiche...».
Paolo Conti