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 2013  giugno 16 Domenica calendario

ROHANI, IL PROFILO DEL VINCITORE

Uguaglianza fra i cittadini, parità fra uomini e donne, liberazione dei prigionieri politici, rispetto delle libertà fondamentali, giustizia sociale. Con questi concetti, assenti dalle campagne e­lettorali degli altri sei candidati presiden­ti della Repubblica, Hassan Rohani, 64 an­ni (12 novembre 1948), unico religioso in lizza, ha convinto l’elettorato iraniano mo­derato, riaccendendo la speranza nel cam­biamento brutalmente soffocata dalla re­pressione del 2009. Rohani non è certo un uomo esterno al­l’establishment, altrimenti la sua candi­datura non avrebbe avuto speranze di fronte alla fal­ce del Grande ayatollah A­li Khamenei: accademico, ricercatore, membro del­l’Assemblea degli esperti e del Consiglio dei sapienti – tutti consessi di saggi reli­giosi sciiti –, ex segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale, di­plomatico di caratura in­ternazionale, il nuovo pre­sidente è legato a Khame­nei a doppio filo, avendo ricoperto ruoli di control­lo sia nella Difesa sia negli Affari esteri. Come dire, al­le redini della Repubblica i­slamica, potente fra i potenti.
Eppure, la moderazione di alcune sue po­sizioni, la relativa autonomia di giudizio e la lucidità dimostrata nel riconoscere la gravità del frangente economico-sociale, gli hanno valso il supporto degli ex presi­denti Akbar Hashemi Rafsanjani e Mohammad Khatami, di cui è stato stret­to collaboratore. Il cammino di Rohani i­nizia con gli studi religiosi, negli anni ’60; in parallelo, c’è l’attivismo politico, in op­posizione allo scià, come la maggior par­te dei suoi coetanei. E come tutta la sua fa­miglia, formata da commercianti della città di Semnan. Abile oratore, nemico di monarchia e Occidente, Rohani stima l’ayatollah Ruollah Khomeini e lo rag­giunge in esilio a Parigi, nel 1977: Kho­meini lo recluta fra i suoi fedelissimi. Lau­reato in legge presso l’università di Teheran nel 1972, il nuovo presidente iraniano co­nosce il “nemico” occidentale per espe­rienza diretta, avendo completato gli studi all’estero: vanta infatti un master alla Gla­sgow Caledonian University, seguito da un dottorato sull’esperienza della rivoluzione islamista iraniana.
Dopo la rivoluzione, nessuna stanza del po­tere gli è preclusa: l’esercito, di cui ha se­guito la riorganizzazione; il nuovo Parla­mento, di cui è stato membro; la televisio­ne di Stato, a lungo supervisionata proprio da lui. I legami con Rafsanjani hanno radi­ci lontane, durante la guerra con l’Iraq, nel periodo 1980-88.
La comunità internaziona­le ha conosciuto il suo volto nel 2003, un anno dopo che il programma iraniano è sta­to svelato e l’Iran ha deciso di accettare una sospensio­ne temporanea per evitare sanzioni dal Consiglio di si­curezza Onu (presidenza Khatami): allora, Rohani ha condotto personalmente i negoziati a Bruxelles, Gine­vra e New York. Il suo ruolo di mediatore nucleare è du­rato 16 anni, attraverso tre diverse presidenze. Poi, le dimissioni brusche, il 15 a­gosto del 2005, sia da nego­ziatore per il nucleare sia da capo del Consiglio supremo per la sicurez­za nazionale, a causa delle opinioni diver­genti con il presidente uscente Mahmud Ahmadinejad, contrario a qualsiasi con­cessione all’Occidente. Il suo successore, A­li Larijani, si è subito allineato sulle posi­zioni di Ahmadinejad, mentre Rohani non ha mai nascosto l’avversione per il nuovo gruppo di potere.
In campagna elettorale, Rohani ha ribadi­to più di una volta che «il nucleare non è la priorità, la ripresa economica sì» e che sa­rebbe stata sua cura, una volta eletto, tro­vare «una interazione costruttiva con il mondo»: per questo, con lui l’Iran potreb­be ora uscire dall’incubo dell’isolamento internazionale. E forse anche il conflitto si­riano trovare un sbocco politico.