Angelo Carotenuto, la Repubblica 16/6/2013, 16 giugno 2013
CATERINA GUZZANTI
Comica non si nasce. «Non ero divertente a scuola, non ero divertente con gli amici, non mi piaceva stare al centro della scena». Comica, a volte, non sai neppure come lo diventi. «Io, in realtà, volevo fare la veterinaria. Raccattavo animali in giro, portavo a casa gatti malatissimi. Ho avuto un rapporto assai stretto con l’antimicotico. Ne ricordo uno che usava mia nonna, me lo spalmava addosso, da bambina ero sempre viola». Nel giardino del museo Maxxi, sotto il sole della primavera di Roma, Caterina Guzzanti, trentasette anni appena compiuti, quasi non ricorda come sia finita dentro questo gorgo che ormai maneggia con padronanza. «All’inizio ero molto timida, perfino più di adesso, mi mancava la sfacciataggine. Me ne sono accorta riguardando un po’ di cose vecchie». Si è aiutata con la scrittura. «È un processo che infiacchisce. Scrivere stanca, ma sorregge. Certe volte immagino quale pacchia sia interpretare una fiction per nove mesi, limitarsi a recitare le cose che hanno scritto per te. Quando però mi capita, mi dico: mai più. È un’altalena. Scrivere da sola i personaggi mi consente di seguire i miei desideri. Certi sketch seriali sono la riproposizione o poco più di quanto mi accade». Una rielaborazione consapevole, un cammino di emancipazione dal proprio riserbo che si è definitivamente compiuto nel suo ultimo lavoro: La prova dell’otto su Mtv. Attrice, autrice, capocomico. Il primo programma interamente suo. Per allontanarsi dall’ombra di un cognome e di una definizione, la Guzzantina, che fa molto enciclopedia. Lei, figlia di Paolo. Lei, sorella di Sabina e di Corrado. Lei che fosse solo lei, in fondo, quasi mai. Fino a oggi. Finalmente.
«Mi ero iscritta alla facoltà di Filosofia, a Londra, forse proprio perché erano gli studi che avevano fatto mio padre e mio fratello. Non ho resistito. Sono tornata. Ero un’adolescente mammona. Un giorno ho scoperto che alla fine non me ne fregava niente di stare lì. Avevo frequentato una scuola internazionale proprio per proseguire gli studi all’estero. Lo facevano tutti, mi misi a seguire il gruppo. Incredibile a ripensarci oggi: non me ne fregava niente di stare in un posto fichissimo. In realtà non sopportavo di avere intorno a me gente ubriaca già alle undici del mattino. Spendevo un patrimonio per stare ore al telefono con mia madre. Un giorno mi contattano dalla banca e mi dicono: signorina, attenzione, devono averle clonato la carta di credito. Grazie, gli ho risposto, tranquilli: sono io che spendo per chiamare casa».
È tornata e ha scoperto che sapeva come far ridere. Nei panni dell’attrice Biondic arrogante e ambigua, oppure incarnando una Miss Italia poco sveglia. È stata una giornalista, una malata di social network, la bambina viziata Orsetta Orsini Curva Della Cisa e l’ex ministro Gelmini. «Ecco, lei se la prese. Pazienza. Quando il diretto interessato è contento della sua imitazione, non è mai un buon segno. In genere non capita. A meno che la persona non sia molto intelligente o molto furba: ce ne sono poche. La Gelmini poi, era così noiosa che fui costretta a inventarmi un escamotage. Le diedi delle origini calabresi, ebbi bisogno di un espediente per costruire intorno a lei un personaggio interessante». Argomenti tabù, nessuno. «Tutto quello che è politicamente scorretto è benvenuto. Non c’è nulla di cui un comico non debba mai parlare. Certo poi ci sono i modi, i tempi. Ma io penso sempre alla grande scuola ebraica che ha milioni di barzellette persino sulle enormi tragedie della storia di cui sono stati vittima».
Donna e spiritosa. Le due cose insieme, dice, non sono quasi mai un vantaggio. «Esistono ancora tanti pregiudizi di fronte a una figura femminile di un certo tipo». Per non parlare della seduzione. Caterina muove il dito indice, fa segno di no, se una donna è spiritosa la cosa non aiuta. «Non aiuta, no: gli uomini si spaventano. Parecchio. Si intimoriscono. Perché l’uomo, quando non è bellissimo, alla fine punta tutto sulla propria simpatia. Se a quel punto incontra sulla sua strada una donna che fa la stessa cosa, una donna che gli ruba la scena, addio, il maschio va in crisi. Si ritira. Io, per esempio, attiro gli uomini aggressivi. Boh, chi lo sa. Gli uomini un poco più normali mi guardano da lontano. Mi fissano da laggiù. Poi esiste una terza categoria, quella del “fai di me quello che vuoi”. A questo punto la soluzione per me c’è: dovrei trovarmi un uomo bellissimo. Ci penserò io, a doppiarlo». Con Caterina Guzzanti si ride della politica, si ride del mondo della tv, della cultura, figurarsi della cultura in tv. «Mi sarebbe piaciuto fare un Umberto Eco Show, il mio ultimo programma volevo chiamarlo così. Immaginare uno show di Eco in cui all’improvviso si trova catapultata questa improbabile conduttrice che arriva dai talk pomeridiani». La realtà televisiva offre spunti pressoché sconfinati. «Di pomeriggio, con titoli diversi, c’è ormai lo stesso programma su tutti i canali. Faccio fatica a individuare dove sia finita Federica Panicucci». Un altro dei suoi celebri personaggi. «Dov’è la Panicucci? Sul serio, dov’è? Su un canale, su un altro, boh. E poi nella tv del pomeriggio ti accorgi che sono tutti amici. Tutti tranquillizzano il pubblico a casa, chiunque arrivi in studio è una festa». Un’anestesia totale. «Non dico che siamo messi peggio rispetto a quindici anni fa, io dico che siamo messi molto peggio che a Cuba. La cultura esige un’attenzione, una pazienza, una concentrazione che forse abbiamo definitivamente perso. I giovanissimi sono “settati” su altri ritmi, sulle conquiste veloci e immediate. Dribblano tutto ciò che richiede attenzione ». Così è nata Flavina, il suo ultimo personaggio, la conduttrice tv dell’improbabile “Culturissima”. «La televisione è un bel concentrato del nostro degrado sociale. Sfoggia disinvolta un modo sciatto di parlare, di esprimersi. Nessuno si cura più dell’italiano. È triste prima ancora che grave. È tutta un’invasione di “piuttosto che” o di “settimana prossima”. Durante il Conclave ho sentito un giornalista riferire che il papa stava indossando “i paraventi sacri”».
Roma è la palestra del suo punto d’osservazione della realtà. «Esistono dei cicli geografici nella comicità. Abbiamo avuto il ciclo dei romani, il ciclo dei toscani. Però se devo pensare a un luogo della comicità mi viene in mente Napoli. Forse perché è il posto in cui ho cominciato, il mio primo programma l’ho registrato lì. È il pubblico che maggiormente ti spoglia, c’è un’esplosione di euforia». Caterina Guzzanti non ha fatto in tempo a darsi dei modelli. «Bah, modelli… Non lo so. È che io avevo quei due mostri in casa…». Sabina e Corrado, 13 e 11 anni di differenza. Due totem con cui fare i conti per una vita intera. Le domande su di loro che puntualmente ti inseguono. I confronti. La gente che ti ferma in strada per chiedere di loro. «Tutti immaginano chissà che cosa: sai le risate a tavola, a casa vostra. Invece no. Niente. Uno diceva: mi passi il sale, e l’altro passava il sale». Salvo riscoprirsi a fare le imitazioni delle persone incontrate durante la giornata. Troisi diceva che non basta osservare la realtà per saperla raccontare, altrimenti i vigili urbani sarebbero tutti Ingmar Bergman. Ma quando la sai osservare, la sai raccontare e sai far ridere, allora sei un Guzzanti. «Avevo il permesso dei miei per restare alzata e guardare Drive In. Ero bambina. E poi guardavo l’Arbore di Quelli della notte». Ma la famosa puntata in cui suo padre Paolo telefonò facendo l’imitazione di Sandro Pertini, spacciandosi per il presidente in diretta dal Quirinale, non la ricorda. «È un episodio che mi hanno raccontato successivamente. Ho amato la Gialappa’s. Da spettatrice immaginavo sempre come avrei risposto io, se mi fossi trovata al posto dei loro partner televisivi. Lavorarci insieme è stato un flash, un cortocircuito».
L’ultima timidezza si chiama cinema. «Forse per fare un film dovrei scrivermelo tutto da sola. Pare che al cinema non ci sia posto per me. O mi propongono cose orrende o salta tutto. Mi chiamano, faccio i provini, dicono che va tutto bene, poi prendono qualcun’altra. Ma non c’è solo il cinema. Vorrei mettermi a studiare matematica. Vorrei saper fare un’equazione».