Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 16/6/2013, 16 giugno 2013
IRAN: VINCE ROHANI IL MULLAH MODERATO CHE VUOLE IL DIALOGO
TEHERAN. Dal nostro inviato È Seyed Mohammed Akrami, amico di famiglia e uno dei capi della sua campagna elettorale, a raccontare chi è Hassan Rohani, il nuovo presidente iraniano. «È un uomo dal carattere razionale, riflessivo, che alla carriera da religioso ha unito studi scientifici e un dottorato in legge. Non lo definirei un riformista, piuttosto è un indipendente che ama le riforme, sicuramente un moderato». TEHERAN. Dal nostro inviato A krami conosce da decenni Rohani perché era amico del padre, anche lui un mullah. «Hassan ha grande esperienza, è un rivoluzionario che è stato sempre ai vertici della politica e ha un rapporto stretto con Ali Khamenei, la Guida suprema di cui è consigliere personale da 28 anni: sbagliano coloro che lo rappresentano come un antagonista del leader. La sua elezione non è contro qualcuno ma per il bene dell’Iran: lo stesso Rohani ha dichiarato che se fosse stato eletto, avrebbe formato un Governo rappresentativo delle tendenze politiche del Paese». Ma la lotta tra i candidati, sia pure tenuta sotto controllo dal regime, c’è stata. La chiave, insieme a sgargianti foulard viola, è stato il simbolo della campagna elettorale di questo hojatioleslam con il turbante bianco, l’unico mullah in corsa: un conservatore che ha saputo catalizzare il voto di moderati e riformisti grazie anche al sostegno dell’ex presidente Mohammed Khatami, di Hashemi Rafsanjani, e di quella parte dell’estabihment politico e religioso che voleva fermare il gruppo dei candidati più vicino a Khamenei. Rohani promette una sterzata all’economia e soprattutto di aprire l’Iran al dialogo internazionale: questo non significa che ci sarà subito un accordo sul nucleare, materia in cui l’ultima parola spetta sempre alla Guida. «È un esperto di diplomazia - continua Akrami - e dieci anni fa ha fatto un grande lavoro sul fronte del dossier nucleare quando firmò il protocollo addizionale del Trattato di non Proliferazione (che autorizza le ispezioni a sorpresa degli impianti, ndr): molti lo hanno criticato ma le sue decisioni obbedivano a criteri logici e distensivi». Un cambiamento di stile rispetto al presidente uscente Ahmadinejad ci sarà. Rohani è uno sperimentato insider della politica iraniana. Un rivoluzionario della prima ora perché negli anni 60 era già un seguace di Khomeini e predicava la rivolta contro lo shah Reza Palhevi. Più volte incarcerato, lasciò l’Iran per seguire l’Imam nell’esilio in Francia. Dopo la vittoria della rivoluzione nel ’79 ha ricoperto ruoli di responsabilità e, quando nel 1980 l’Iraq di Saddam Hussein attaccò l’Iran, fu tra i primi organizzatori delle disordinate forze armate iraniane. È stato vicepresidente del Parlamento con Rafsanjani e poi dell’esercito. Nel 2003 è stato il primo negoziatore sul nucleare con una linea decisamente improntata alla mediazione: troppo moderato per gli ultra-conservatori che lo costrinsero alle dimissioni nel 2005 con l’ascesa di Ahmadinejad. Oggi si è preso una rivincita aprendo con la sua chiave uno spiraglio nella tetragona repubblica islamica.
VINCE ROHANI, SVOLTA IN IRAN –
TEHERAN. Dal nostro inviato
Un conservatore che insieme al mantello severo da mullah ha indossato quello affascinante del riformista e durante la campagna elettorale, con il simbolo della chiave, ha detto di voler aprire le porte di un nuovo Iran: questo è Hassan Rohani, 65 anni, rivoluzionario della prima ora, già fedelissimo di Khomeini, il candidato che succede ad Ahmadinejad alla presidenza, battendo uno schieramento di ultraconservatori. Ha superato di un soffio la soglia del 50% (50,7) per evitare il ballottaggio ma il secondo arrivato, il sindaco di Teheran Baqer Ghalibaf, è assai distante con solo il 16,5 per cento. Gli iraniani, dopo una campagna elettorale sotto tono, sono andati alle urne con una buona affluenza (72%) attirati da Rohani che promette di raddrizzare l’economia, colpita dall’inflazione e dalle sanzioni, e di riprendere il dialogo internazionale per far uscire il Paese dall’isolamento.
E più che nelle dichiarazioni dei politici, le speranze di cambiamento - dopo gli otto anni deludenti di Ahmadinejad e i ricordi amarissimi della repressione dell’Onda Verde nel 2009 - si sono materializzate subito al Bazar di Teheran, in piazza delle Erbe, di fronte alla Banca Melli: più i voti di Rohani aumentavano e più diminuivano le quotazioni del dollaro, dell’euro, dell’oro. Mentre le botteghe dei cambisti ufficiali erano deserte, il mercato illegale, affollato e incandescente, tornava a credere nel rial, la valuta iraniana, decretando l’entusiamo popolare per la sua vittoria.
Chi è Rohani? «Hassan è un uomo colto, oltre alla carriera religiosa ha conseguito un dottorato a Glasgow, è un conservatore moderato che ama le riforme economiche ed è un esperto di relazioni internazionali: è stato l’uomo che nei primi anni Duemila come capo negoziatore poteva chiudere il dossier nucleare, ma lo hanno fermato», così dice Seyed Mohammed Akrami, uno dei capi della campagna elettorale e amico da decenni.
Possono sorprendere le elezioni iraniane? Fino a un certo punto. Questo è il Paese dei paradossi: una repubblica islamica dove il venerdì, il giorno della preghiera, le moschee sono le più vuote del Medio Oriente, come se la popolazione fosse stata vaccinata da 34 anni di teocrazia, anzi sarebbe meglio dire di clerocrazia, perché nella terra del petrolio fare il mullah è una carriera politica ma anche economica.
Nella prima repubblica islamica del Novecento nata con una rivoluzione, i religiosi sono andati al potere ma rappresentano anche l’opposizione più temibile per gli altri ayatollah. A Isfahan, detta la Firenze d’Oriente, pochi giorni fa i funerali dell’ayatollah Taheri sono stati l’occasione per rilanciare gli slogan della rivolta dell’Onda Verde del 2009 e chiedere il rilascio, dopo quattro anni di arresti domiciliari, dei due principali leader dell’opposizione, anche loro dei mullah, Hussein Mussavi e Mehdi Karrubi.
Le elezioni, dunque, servono a legittimare un sistema che dopo la lunga guerra contro l’Iraq e la morte del suo fondatore, l’Imam Khomeini, non ha trovato ancora una via di uscita dalla rivoluzione. Il suo successore nel 1989, Alì Khamenei, era un semplice hojatoleslam che fu fatto rapidamente ayatollah e veniva regolarmente contestato dai mullah di rango superiore.
Fu per questo che quando Khamenei è diventato Guida Suprema si è affrettato a cambiare la Costituzione per affermare il suo potere. Qualche mese fa aveva persino adombrato di abolire la carica di presidente sostituendola con quella di primo ministro, sotto la sua supervisione. Ha anche promosso la figura del “mullah combattente”, religiosi che esercitano funzioni di sicurezza, come l’hojatoleslam Hossein Taeb, un bassiji (un membro delle milizie) che dirige l’intelligence dei Pasdaran. È così salito nella considerazione delle alte sfere anche il capo delle forze d’élite Al Quds Kassem Suleimani, il vero manovratore del dossier Siria, il più delicato insieme al nucleare, che sta coinvolgendo l’Iran sciita in uno scontro epocale con l’Islam sunnita e i suoi alleati occidentali.
Khamenei nomina i capi delle forze armate e dei servizi: ha in mano tutte le leve della sicurezza. Per questo il presidente ha margini di manovra limitati se va in rotta di collisione con il Leader, come avvenne con il riformista Khatami. Anche Ahmadinejad è finito in un angolo quando si è scontrato con Khamenei: ha pagato con la squalifica dalla corsa presidenziale del suo candidato Rhaim Mashaie, accompagnata da quella del rivale Hashemi Rafsanjani. Questa corsa presidenziale è stata fatta senza i cavalli di razza della repubblica islamica, così come voleva Khamenei, ha però trovato un protagonista assai diverso dal predecessore che agitando la chiave della sua campagna elettorale fa immaginare di aprire nuove porte. Speriamo, con milioni di iraniani, di non essere disillusi.