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 2013  giugno 16 Domenica calendario

I QUINDICI SENATORI DEL M5S SULL’ORLO DELLA SCISSIONE

Adele Gambaro a un passo dall’espulsione è questione che ormai va oltre lei e il Movimento cinque stelle. Proviamo allora a fotografarla, incrociando ogni elemento possibile. Compreso il contesto.

Ieri Pier Luigi Bersani, rispondendo in un’intervista al Corriere a una domanda sullo «smottamento in corso tra i grillini», ha detto: «Io sostengo Letta, persona intelligente, capace, leale. Ma Berlusconi non pensi di avere in mano le chiavi del futuro. Ci pensi bene. Stavolta staccare la spina al governo non comporta automaticamente andare a votare». E in mattinata l’ex candidato del Pd alla Regione Lombardia, Umberto Ambrosoli, ha twittato, in modo persino più inconsueto per un impolitico: «La mossa di Bersani (predisposizione maggioranza Csx + parte M5s) è buona risposta a chi dice “O Gov approva xyz o stacchiamo la spina”». Come se quella di Bersani fosse una vera e propria «mossa», la «predisposizione» di una maggioranza alternativa a quella Pd-Pdl.

Potrà apparire bizzarro, ma è esattamente ciò che denunciano i parlamentari del M5s più vicini a Grillo (che tra l’altro martedì faranno un sit in a Roma): sostengono che è in corso un’operazione politica forte, «molto più al Senato che alla Camera perché è lì che servono i voti». Tra l’altro al Senato gli ultraquarantenni sono più sensibili al richiamo del tengo famiglia, mi piglio tutto lo stipendio e mi sistemo. I giovani reggono meglio. Di certo l’uscita di un gruppo di eletti - stavolta davvero, mai come oggi - è vicina. Chi la fronteggia la chiama una «scissione», cercata e voluta con un piano a freddo. Gli altri la chiamano «epurazione». Come che sia, è possibile quantificare questo gruppo che uscirà? Perché che esca pare probabile; la domanda è un’altra: l’uscita avverrà con un’espulsione, o perché i dissidenti se ne vanno? La partita è qui.

Ancora ieri sera un ordine del giorno dell’assemblea dei senatori per mettere ai voti l’espulsione della Gambaro non c’era; e molti - anche tra quelli che non la pensano affatto come lei - lavoravano per scongiurare questa ipotesi, per la quale invece spingono Crimi e Morra (ipotesi - notare - che sembra paradossalmente gradita agli epurandi). Nel frattempo però è possibile dire quanti siano, e chi, i parlamentari decisi (o costretti, o ben disposti) ad andar via. Al Senato sarebbero quindici, o pochi di più. Si tratta degli emiliani, tre dei quali vicini a Favia. Oltre alla Gambaro c’è l’altra bolognese, Elisa Bulgarelli, che lavorò a lungo con Favia (e anzi, lo rimproverò quando, eletto in Regione, se ne uscì sostenendo che a lui le attiviste stiravano le camicie). Poi Michela Montevecchi, che è stata la capolista in Emilia Romagna (neoletta diceva «io mi aspetto una presa di responsabilità per fare in modo che il governo duri il più a lungo possibile»). Ivana Simeoni, laziale, e Paola De Pin, veneta, sono molto orientate a uscire. Serenella Fucksia, marchigiana, si è battuta molto per la Gambaro e potrebbe seguirla se fosse cacciata. Rosetta Blundo, abruzzese, ci sta pensando, ma non è detto. Cristina De Pietro, ligure, è una che oscilla assai. I siciliani Francesco Campanella e Giarrusso hanno conquistato fin dall’inizio una certa ribalta nel ruolo: sarebbe una sorpresa se restassero. Altri, come Monica Casaletto (lombarda), Alessandra Bencini, o la pugliese Barbara Lezzi, hanno difeso la Gambaro; se ne andranno se lei viene espulsa.

Non oscilla Lorenzo Battista, il senatore triestino. I friulani alla Camera anche Walter Rizzetto e Aris Prodani - sono un’enclave che chiama «partito» il Movimento, ha un direttivo, mantiene un’associazione pagata; cose inaudite, nello spirito dei fondatori. Hanno sempre chiesto uno statuto, e alcuni ieri hanno quasi finito di scriverne uno. Alla Camera i numeri non contano, il Pd la maggioranza lì ce l’ha. Gli emiliani del M5S sono sette, anche se non tutti già sicuri. Giulia Sarti, per dire, è un po’ a metà del guado. E è un ago della bilancia. Ci sono Currò e Zaccagnini.

Grillo e Casaleggio sanno che un’espulsione è un orrore e li fa perdere comunque. «Ma un logoramento con un dissidente ogni due settimane è peggio». Grillo a ritirare il simbolo non ci ha mai pensato, risulta qui. Semmai a volte pensa davvero: sapete che c’è? me ne vado e andiamo tutti a casa.

Forse può essere interessante notare che, se l’operazione politica giova al Pd, non è il Pd che materialmente ci lavora; Civati assolutamente no, e neanche Sel. Sapete chi entra in gioco? Ingroia e poi l’area De Magistris. Segnalano una Sonia Alfano assai attiva.
"«La mossa di Bersani, predisposizione maggioranza centrosinistra + parte M5S»"