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 2013  giugno 16 Domenica calendario

I SALDI DELL’ARTE DEMOCRATICA

Il rosso (di capelli) Norman Ackroyd, grande maestro nelle acquetinte di paesaggio, racconta con ironia assai britannica la telefonata che gli annunciava la nomina ad accademico, Royal Academician: «Stavo seduto al pub che aspettavo la mia birra, ero da solo. Dal bancone mi hanno chiamato: tua moglie al telefono. Mi ha detto: la Royal ti ha scelto, vieni subito. Ero emozionato, ma prima ho comunque bevuto la mia birra».
Gocce di memoria in una delle stanze nobili, quelle delle riunioni ufficiali, di Burlington House, a Piccadilly, proprio di fronte a Fortnum & Mason: alle pareti, un incredibile paesaggio di Constable (The Leaping Horse) e gli altrettanto bellissimi autoritratti di Reynolds, Gainsborough, Lawrence, anche loro tutti accademici. Un elenco che oggi include, tra gli altri, star dell’arte, dell’architettura, della fotografia come David Chipperfield, Tacita Dean, Anish Kapoor, Jenny Saville, Richard Rogers.
Nell’aria, una piacevole fragranza di curry, lo stesso che accompagna il pranzo leggero degli accademici alla vigilia della serata più patinata della stagione, quella che apre ufficialmente la Summer Exhibition 2013, la mostra-simbolo di tutte le attività della Royal Academy (RA), fondata da re Giorgio III nel 1768, l’unica Accademia al mondo a essere guidata dagli stessi artisti. Molto più di una semplice mostra (Monet e George Bellows le più recenti), qualcosa di sensazionale anche rispetto alle retrospettive-evento messe in piedi dalla RA: Kapoor con il suo cannone che sparava pezzi di plastica rossa sui muri della Grand Hall, Hockney con i suoi grandi paesaggi e con i suoi fiori per iPad. Perché la 245ª Summer Exhibition è «l’esempio più eclatante di arte democratica — spiega alla "Lettura" l’attuale presidente, Christopher Le Brun —, la più grande esposizione al mondo che mette insieme Marina Abramovic, Ron Arad e Anthony Caro con un gruppo di artisti giovani e sconosciuti purché "di merito distinto" che, oltretutto, fanno la fila per farsi esaminare da una giuria di accademici. Quest’anno sono state presentate 10 mila opere, in mostra ne abbiamo soltanto 1.200». E tra queste, tanto per essere ancora più democratica, c’è anche Close (olio su tela) firmata dallo stesso Le Brun, quotazione 72 mila sterline.
Perché tutto (o quasi) «è in vendita al miglior offerente»: il prezzo base compare su un preziosissimo libriccino che, da una parte, sembra la lista di una mostra molto glamour, con bei nomi e cifre abbordabili rispetto al normale: Kloris, «divano» in fibra di vetro firmata da Dame Zaha Hadid per la Rowe Gallery a 450 mila; la tempera Laokoon di Per Kirkeby a 250 mila; una scatola-fotografia di Rodney Graham, assai appetita dai collezionisti, a 195 mila; una Cinquecento Fiat ridisegnata da Ron Arad con offerta libera. A suo modo sorprendenti sono anche le 72 mila per la stampa Me and Me di Marina Abramovic, e le 1.800 per Doctor in my hand, piccola scultura di Tracey Emin.
Vestito d’azzurro, bretelle comprese e camicia esclusa, Charles Saumarez Smith, segretario generale della RA, chiarisce che «la democrazia della Summer Exhibition è quella che permette praticamente a tutti di essere ammessi nelle stanze dei grandi. Basta mettersi in coda, agli inizi di aprile, e fare un esame, proprio come a scuola. Ci sono tantissimi giovani di talento, ma anche professionisti non tanto conosciuti e veri e propri artisti della domenica. Se vengono bocciati, non ne fanno un dramma. Nella vita succede». Per loro cambia qualcosa? «Certo, ma più emotivamente che altro. L’idea di essere accanto a Sean Scully, Gary Hume e Mimmo Paladino è un onore».
D’altra parte riesce anche difficile immaginare un futuro diverso da quello di dilettanti appassionati e niente più (certi titoli come Veduta di Pienza alimentano il dubbio) per gli autori di Magenta Black (160 sterline), Deptford Market (250), Proof and identity (180). Eppure sono gli stessi che per 25 sterline, tassa di ammissione non restituibile neppure in caso di bocciatura, si sottopongono a un esame di quattro giorni, coda compresa. Ma la democrazia dell’arte propagandata dalla Summer Exhibition è ancora di più: «La realtà di un luogo dove l’arte viene fatta, esposta, ma anche discussa», spiega Le Brun. Un luogo dove «le vendite servono a finanziare le scuole della Royal Academy, l’unico corso post laurea triennale di disegno, pittura e incisione, un centro d’eccellenza mondiale, in Gran Bretagna». Eliza Bonham-Carter, direttrice della scuola, guarda estasiata la copia dell’Ercole Farnese, ricorda le bellezze d’Italia e aggiunge: «È incredibile avere Tracey Emin come insegnante di disegno, ma ancora più incredibile è che qui dentro si crei una lobby di giovani artisti, una fratellanza che sarà loro molto utile per affrontare il sistema».
I primi collezionisti, taccuini alla mano, cominciano a comparire tra la Central Hall e la West Room e le prime opere volano via: sono quelle che colpiscono al volo come i tre vasi ricoperti di David Mach (12-28 mila sterline) o Chalna. The Girl Mailing by the Postbox di Dae Hun Kwon, statua in resina colorata (7 mila). Poi toccherà ai visitatori fare la differenza: l’anno scorso furono 12 mila i paganti (da 27 nazioni) per 10 sterline a biglietto. Solo con loro la Royal Academy tornerà a essere il solito museo e la Summer Exhibition tornerà a raccontare la normalità dell’arte. Quella di una stanza intera con sei arazzi (The Vanity of Small Differencies) firmati da una star collaudata come Grayson Perry (non in vendita, recita il solito libriccino), trasgressiva ma nemmeno più di tanto. Quella di una mega scultura del grande maestro Sir Anthony Caro (Shadows). Quella dell’intera facciata di Burlington House ricoperta da El Anatsui (il nigeriano già celebrato a Palazzo Fortuny nella Biennale 2011 e che è stato premiato dalla RA con il Charles Wollaston Award) con un enorme arazzo di tappi (Tsiatsia).
Allan Jones, altro accademico eccellente, sorseggia il suo caffè Starbucks e spilluzzica il relativo hamburger mentre guarda il viavai dei preparativi: «Quello che fa la Royal Academy è magnifico. C’è un solo grande problema: che l’arte non può essere mai democratica perché il talento non è per tutti».
Stefano Bucci