Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  giugno 16 Domenica calendario

UNA PARTITA A «SPACE INVADERS» E IL MONDO NON FU PIU’ LO STESSO

Nel 2014, Tomohiro Nishikado, game de­signer giapponese, avrà compiuto set­tant’anni, ma il videogioco da lui creato, ne festeggia proprio oggi 35. Space Invaders, prodotto sotto etichetta Taito, nome storico e ancora oggi in attività, rappresen­ta l’icona del videogame classico per eccellenza, quello a gettoni che, tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, conquistò sale giochi e locali pubblici, cambian­do per sempre l’immaginario col­lettivo di più di una generazione di ragazzi. Ispirato dalla fantascienza che nel 1978 spopolava tra cinema e fumetti ma anche dalle ansie della guerra fredda che divideva il mondo, Space In­vaders metteva in scena una ine­sorabile invasione aliena, che il giocatore doveva respingere utilizzando un misero cannoncino, ultimo baluardo delle forze terre­stri. «I videogiochi - ci dice Nishikado - fino a quel momento erano utilizzati da un numero ri­stretto di persone. Con Space In­vaders si aprirono a un pubblico molto più vasto ed eterogeneo, fatto di bambini ma anche di per­sone di una certa età. Da quel mo­mento in poi, le case di produzio­ne di videogiochi si moltiplicaro­no e il mercato crebbe sensibil­mente».
Nishikado divenne game desi­gner per caso. Aveva appena la­sciato l’azienda per cui lavorava e stava cercando un nuovo po­sto. Un conoscente lo invitò a fa­re un colloquio in Taito. Venne preso. Fu l’inizio di un’avventu­ra incredibile: «L’azienda mi chiese per un anno intero di creare un gioco di successo. Prima dell’arrivo di Space Invaders sul mercato, andavano molto di mo­da i giochi in cui si dovevano ab­battere dei mattoncini. In effetti piacevano molto anche a me, li trovavo molto divertenti. In un certo senso mi ispirai ad essi, cer­can­do però di innovare la formu­la e creare un gioco che fosse an­cora più coinvolgente. Un altro genere che ho sempre amato è quello degli shooting game, quin­di pensai di inserirmi anche in quel tipo di schema. A quei tem­pi, nei giochi di combattimento non si faceva altro che mirare e colpire i nemici, mentre io pen­sai di creare un gioco in cui i nemi­ci fossero in grado di rispondere agli attacchi. Da questi spunti nacque Space Invaders».
All’epoca però le difficoltà era­no notevoli: «Allora - prosegue Nishikado - non esistevano veri e propri computer dedicati alla progettazione e allo sviluppo di un videogioco, quindi abbiamo dovuto spendere molto tempo per crearne uno. Poi dovemmo scegliere il tipo di oggetti da ab­battere al posto dei classici “mat­toncini”: la scelta è stata davvero complessa. All’inizio abbiamo provato con vari tipi di oggetti, tra cui carri armati, aerei e navi, ma nessuno riusciva a convincer­ci nei movimenti. In seguito, ab­biamo provato utilizzando figu­re umane ma non ci sembrava giusto sparare contro delle perso­ne. Alla fine abbiamo provato con degli invasori alieni e ci sia­mo accorti subito che i loro movi­menti funzionavano molto be­ne... Da quel momento in poi, lo sviluppo è andato avanti senza problemi».
Space Invaders era ormai pron­to­a diventare un fenomeno pla­netario, destinato tra l’altro a da­re un impulso decisivo a una nuo­va industria. Eppure non piac­que subito: «All’inizio, quando uscì nelle sale giochi nel 1978, non godeva di una buona reputa­zione tra gli addetti ai lavori. Fino a quel momento, nei giochi di combattimento i nemici non at­taccavano il giocatore, quindi tut­ti pensavano che Space Invaders fosse troppo difficile. Sì, direi che la sua reputazione all’inizio non era delle migliori! Tra l’altro io avevo dato al gioco un titolo di­verso, Space Monsters, l’azienda lo cambiò in Space Invaders. Ri­cordo che in quel momento ci ri­masi un po’ male. Tuttavia ades­so penso che sia un titolo molto adatto. Ad ogni modo devo con­fessare che sono piuttosto inca­pace a giocare a Space Invaders: difficilmente riesco a completa­re il secondo livello. L’ho creato io, eppure non ci riesco!».
I limiti tecnici, superati i primi ostacoli, si rivelarono, parados­salmente, uno dei motivi del suc­cesso: «La scheda CPU di Space Invaders aveva delle capacità non proprio elevate e non era in grado di stare al passo con ciò che avevo in mente. Avrei voluto realizzare un gioco con un ritmo più veloce e frenetico, ma pur­troppo questo non era possibile, in quegli anni. Solo adesso mi rendo conto di quanto quel rit­mo lento sia stato fondamentale per il successo di Space Inva­ders».
Prima di salutarci, c’è tempo per un’ultima domanda: il video­gioco può essere considerato una forma d’arte moderna, co­me lo è il cinema? «Nei videogio­chi di oggi - risponde lui - la grafi­ca ­sembra quella di un film e il so­noro è fantastico, quindi si può di­re che l’aspetto artistico sia cre­sciuto enormemente. Sicura­mente il videogioco verrà presto considerato come una nuova for­ma d’arte a tutti gli effetti. Io, pe­rò, mi auguro che non perda mai anche la dimensione del diverti­mento e del piacere puro di gioca­re».