Pietro Del Re, la Repubblica 16/6/2013, 16 giugno 2013
DALLE MONTAGNE ALLA RIVOLUZIONE LA SCALATA DEL “GRAN NEGOZIATORE”
VANTA una biografia eclettica e ricchissima, Hassan Rohani, il neo-eletto presidente dell’Iran, nato 65 anni fa in un piccolo villaggio di montagna nel nord del Paese. Una biografia il cui epilogo non stupisce, poiché Rohani è stato rivoluzionario, religioso, militare, spione, politico e abilissimo negoziatore. E anche amico fidato e amatissimo dell’ayatollah che inaugurò il potere teocratico che tuttora persiste in Iran, Ruhollah Mustafa Mosavi Khomeini.
Questo sodalizio può spiegare perché prima dell’elezione alla carica suprema, Rohani ha ricoperto innumerevoli e prestigiosissimi incarichi in seno all’apparato dirigente della Repubblica islamica. Ma la sua carriera è stata forgiata da un altro il grande personaggio politico persiano, Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, che fu presidente dell’Iran per due mandati, dal 1989 al 1997. Con lui, Rohani militò nella resistenza contro lo scià Reza Pahlavi, fu arrestato e torturato. Durante gli anni della presidenza Rafsanjani si racconta che i due fossero inseparabili, che incarnassero uno l’alter ego dell’altro.
Per la cronaca, va tuttavia segnalato che prima di quel periodo, e cioè durante la sanguinosissima guerra contro l’Iraq, dal 1980 al 1988, Rohani assunse il comando dall’aviazione militare. Un ruolo che espletò con onore e devozione, a tal punto che una volta terminato il conflitto fu nominato a capo dei pasdaran, i 120mila guardiani della rivoluzione.
Come Winston Churchill, oltre che un grande militare Rohani è stato uno straordinario negoziatore. Quando si tennero i colloqui segreti tra Stati Uniti e Repubblica islamica nel tentativo di normalizzare i rapporti tra i due Paesi, lui era a capo della delegazione iraniana. Conobbe allora i vertici della diplomazia e dell’intelligence statunitense, con i quali seppe creare e intrattenere rapporti cordiali e costruttivi.
Questo accadeva ovviamente prima di altri negoziati, quelli sul nucleare, che ebbero invece un esito più nefasto per l’Iran e che una volta naufragati scatenarono quelle sanzioni economiche che ancora strangolano il Paese. Ebbene, Rohani fece parte anche di quei negoziati, fino al giorno in cui la guida suprema del Paese, l’ayatollah Ali Khameini, decise di estrometterlo dalla delegazione iraniana giudicandolo «troppo morbido».
Ma Rohani aveva avuto modo di farsi conoscere dagli esperti di altre nazioni. Fra coloro che allora ne apprezzarono le qualità vi furono i francesi, gli stessi che ieri, appena le agenzie hanno battuto l’elezione dell’eminenza grigia Rohani, per primi hanno dichiarato che ora la soluzione diplomatica al nucleare si farà più vicina.
Già, ma perché dopo averlo allontanato dai negoziati sul nucleare, la guida suprema ha accettato la sua nomina a presidente dell’Iran? La ragione è una sola: la situazione economica è così drammatica nel Paese da mettere a rischio la sopravvivenza stessa della Repubblica islamica. Per il dopo-Ahmadinejad serviva un uomo diverso, moderato, riformatore ma non troppo, con un ottimo curriculum istituzionale ma senza la ferina aggressività di un Rafsanjani. Serviva soprattutto un uomo di rottura che però non facesse ombra alla guida suprema Khamenei. In altre parole, serviva Hassan Rohani, il rivoluzionario che diventò prima generale, poi eminenza grigia all’ombra del potere di Teheran.