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 2013  giugno 16 Domenica calendario

NELLA SVOLTA MODERATA IN IRAN C’E’ LA RIVINCITA DEGLI AYATOLLAH

La vittoria di Rohani rappresenta la rivincita di moderati e pragmatici, ma soprattutto degli ayatollah sui pasdaran e sulle teorie devianti del presidente uscente Ahmadinejad, in questi anni entrato in conflitto con gli ayatollah sostenendo di poter parlare con il Mahdi (l’ultimo Imam sciita) senza la mediazione del clero. Rohani è l’unico dei sei candidati a portare il turbante degli hojatoleslam (uno scalino sotto il rango di ayatollah), nel suo caso bianco perché non è un Seyed, un discendente del profeta Maometto.
Dopo il ritiro del candidato riformista Aref e dopo aver ottenuto il sostegno degli ex presidenti Khatami e Rafsanjani, attorno a Rohani si è coagulato il consenso di moderati e centristi. Vince al primo colpo, senza ballottaggio. Le autorità non corrono così il rischio che i cittadini scendano in strada a dimostrare a favore dell’uno o dell’altro contendente. In questa vittoria sono state decisive le dichiarazioni di Rohani contro lo Stato di polizia e a favore dei prigionieri politici, della libertà di espressione, dei diritti sociali delle donne perché l’Islam non può essere pretesto per relegarle in una condizione inferiore.
Per certi versi queste elezioni ricordano quelle del ’97 vinte dal riformatore Khatami mentre tutti davano favorito il conservatore Nateq Nouri, che in campagna elettorale aveva dichiarato di voler imporre il velo alle bambine prima della pubertà, inimicandosi le donne. Anche questa volta a contare è il voto delle iraniane, estromesse da 77 corsi di laurea in materie scientifiche, materie privilegiate dalle universitarie perché permettono di trovare un lavoro ben retribuito, anche all’estero. Un’altra misura percepita negativamente è stato il taglio al budget sul controllo delle nascite, anche se ormai il tasso di fertilità delle iraniane si è assestato su livelli europei.
L’affluenza alle urne è stata alta (70 per cento): per la maggior parte degli iraniani le elezioni sono l’unico modo per innescare un qualche cambiamento senza correre troppi rischi. I conservatori presentavano cinque candidati su sei, ma nessuno di loro sembra aver convinto gli iraniani. La destra ne esce indebolita? Non credo, perché il leader supremo Khamenei continua — di fatto — a controllare la situazione, politica estera e nucleare restano nelle sue mani. Anche se in questi anni il presidente Ahmadinejad ha interferito in entrambi i campi con le sue invettive contro Israele e riprendendo l’arricchimento dell’uranio sospeso da Rohani, nel 2003 negoziatore con i 5+1.
In questa fase un presidente moderato serve gli interessi di regime: gli iraniani sono scontenti per la cattiva gestione della cosa pubblica, per la disoccupazione, la svalutazione del rial (la valuta locale ha perso il 40 per cento contro il dollaro) e la corruzione. Dopo le contestate elezioni del 2009 e una durissima repressione, gli iraniani non hanno più voglia di protestare. Ma il fuoco cova sotto la cenere e lo scontento si è fatto sentire ai primi di giugno, a Isfahan, quando ai funerali dell’ayatollah dissidente Taheri si sono uditi slogan contro la dittatura.
Rohani si insedierà il 3 agosto e nei mesi successivi scopriremo se manterrà le promesse. In primis quella di liberare i prigionieri politici, e quindi Mussavi e Karrubi, i leader del movimento verde agli arresti domiciliari da oltre due anni. Ma anche nei confronti delle donne che reclamano diritti, e non solo sociali. Certo è che mettere in prima linea un moderato è l’unico modo per fare uscire l’Iran dall’isolamento. Una scelta obbligata, per il leader supremo, per mettere una pezza ai tanti guai combinati da Ahmadinejad, che in questi due mandati ha spedito a casa un’ottantina di ambasciatori e uomini competenti in politica estera.
Con Rohani dovrebbero trovare una loro collocazione diplomatici pragmatici, in grado di traghettare l’Iran fuori dall’isolamento, per ridare al Paese un ruolo di primo piano in un Medio Oriente in fiamme. Ma attenzione a non farsi troppe illusioni: se Rohani ha partecipato a questa corsa elettorale è perché lo ha deciso il leader supremo. Classe 1948, negli anni Sessanta era finito in carcere per aver criticato lo scià, si dice sia stato il primo a chiamare l’Ayatollah Khomeini con il titolo di Imam, per vent’anni è stato deputato della Repubblica islamica, dal 1999 è membro dell’Assemblea degli esperti e, come si è già detto, ha guidato i negoziati sul nucleare. In altri termini, credenziali rivoluzionarie impeccabili.
Farian Sabahi