Marcello Flores, la Lettura (Corriere della Sera) 16/06/2013, 16 giugno 2013
IL NEGAZIONISMO DI STATO
Nel 2007 circa duecento storici italiani si mobilitarono contro il disegno di legge Mastella che intendeva punire la negazione della Shoah, seguendo una decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea che si muoveva nella stessa direzione. La legge venne riformulata evitando ogni riferimento al negazionismo e inasprendo le pene per chi diffonde idee razziste.
Nel 2012 era stato presentato un ddl che riproponeva la questione della negazione della Shoah e dei genocidi e che adesso, nella nuova legislatura, è stato ripresentato come primi firmatari da Silvana Amati del Pd e da Lucio Malan del Pdl, e firmato da cento deputati di ogni gruppo, compreso il M5S, con l’esclusione della Lega. L’agenzia di stampa «Asca», nel dare la notizia, sostiene che il ddl si prefigge «di punire le nuove forme di negazionismo dell’Olocausto e dei crimini contro l’umanità, perpetrate anche attraverso i nuovi media» e così ha ribadito in più occasioni la senatrice Amati.
Prima di riprendere il tema assai serio e complesso delle leggi antinegazioniste — su cui in Francia vi è da anni una battaglia della maggior parte degli storici e che anche in Italia ha visto questa categoria esprimersi in modo nettamente contrario — bisognerebbe leggere per esteso cosa propone il ddl di Modifica all’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, ora riproposto. Si tratta, infatti, di un nuovo comma che punisce «con la reclusione fino a tre anni chiunque, con comportamenti idonei a turbare l’ordine pubblico o che costituiscano minaccia, offesa o ingiuria, fa apologia dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale, ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232, e dei crimini definiti dall’articolo 6 dello statuto del Tribunale militare internazionale, allegato all’Accordo di Londra dell’8 agosto 1945, ovvero nega la realtà, la dimensione o il carattere genocida degli stessi».
Si tratta di un testo — diversamente dalle leggi antinegazioniste di Germania, Francia e altri Paesi — che è ambiguo come la maggior parte delle nostre leggi, soggette sempre a una battaglia di interpretazioni che permette sovente disparità anche grande di giudizi e comportamenti dentro la stessa magistratura. A parte il rapporto (necessario?) tra il turbamento dell’ordine pubblico o l’offesa con l’apologia di reati (tra cui, l’articolo 7 dello statuto della Corte che prevede anche la tortura, reato ancora non presente nel nostro ordinamento) che già rientrano in quelli esistenti e relativi al razzismo, la «negazione» riguarderebbe la realtà, la dimensione o il carattere genocida.
Quali sono i genocidi riconosciuti come tali? Esiste un dibattito che dura da decenni e che vede divisi giuristi e storici: come bisognerà comportarsi? Per Srebrenica una Corte internazionale ha stabilito trattarsi di genocidio (con contraddizioni palesi riguardo alla responsabilità dei serbi) ma molti giuristi ritengono fosse solo un crimine contro l’umanità. In Cambogia lo è stato o no? Il genocidio degli armeni (al di là della definizione) ha riguardato un milione o un milione e mezzo di persone? E i crimini di guerra e contro l’umanità che nessun tribunale ha stabilito tali o sanzionato (i crimini del Gulag; i crimini del Regio esercito italiano prima dell’8 settembre 1943 in Africa, nei Balcani, in Russia; i crimini che hanno costellato il XX secolo quasi in ogni luogo e sotto ogni ideologia) saranno presi in considerazione? E verso chi scatterà la denuncia? Verso tifosi razzisti? Verso ignoranti che ripetono stereotipi menzogneri e fasulli? Verso docenti che fanno studiare Mein Kampf? Verso i siti neonazisti e razzisti di cui è pieno il web?
Il ddl prevedrebbe anche, secondo l’agenzia «Asca», la pena non solo per l’apologia o la negazione, ma anche per la «minimizzazione dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra». Anche in questo caso fanno testo soltanto le decisioni dei tribunali? Cosa facciamo dei libri non solo che negano i genocidi (non solo la Shoah, ma anche gli scritti negazionisti sulla Cambogia o sul Ruanda, ad esempio, che hanno visto in prima fila personalità come Noam Chomsky e altri «democratici») ma che li ignorano (e quindi minimizzano) come una gran parte dei libri di storia contemporanea?
Nel congresso degli studiosi di genocidio che si tenne a Buenos Aires nel 2011 questo tema fu affrontato a lungo e con posizioni diverse e contraddittorie; e anche nel congresso successivo, che si aprirà il 19 giugno a Siena vi saranno almeno due panel destinati a discutere, con punti di vista divergenti, queste «leggi della memoria» e l’atteggiamento degli Stati nei loro confronti.
La questione, a mio avviso, si pone molto semplicemente: una legge simile favorisce la diminuzione degli atteggiamenti razzisti che sono spesso presenti nei discorsi negazionisti e minimizzanti? Assolutamente no, perché sarà usata — forse — in pochi casi esemplari che daranno risonanza e rischieranno di far passare per vittime o eroi della libertà di espressione coloro che li avranno pronunciati. Ma nello stesso tempo segneranno un pericoloso passo verso l’idea di verità storiche di Stato, stabilite per legge e garantite dalla magistratura, invece che dal dibattito aperto, dalla formazione di una coscienza collettiva civile e storica e dall’educazione permanente.
Se il Parlamento si impegnasse davvero a compiere alcuni passi per rendere più facile raggiungere gli obiettivi che si prefigge con questo ddl (l’introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento e la creazione, come richiestoci da tempo dalle istituzioni internazionali, di un’agenzia indipendente sui diritti umani, affondata in extremis da forze trasversali nell’ultima legislatura; programmi educativi e formativi efficaci; produzione di film, spettacoli e programmi tv in cui la storia sia degnamente rappresentata, mentre si chiude ad esempio La Storia siamo noi) questo vorrebbe dire chiamare a raccolta la società civile in una battaglia che solo essa può riuscire a vincere in nome di tutti. Non è la minaccia di una repressione che difficilmente ci sarà (e che rischia di essere pericolosa per la libertà d’espressione e di ricerca) a risolvere un problema di cultura, di educazione, di coscienza. I deputati e senatori, forse, invece di tacitare le proprie coscienze in un’unanimistica approvazione di un testo ambiguo, poco applicabile e pericoloso, dovrebbero chiedersi come mai le leggi esistenti contro la propagazione e l’apologia di odio razziale siano da noi così platealmente ignorate e perché molto spesso la magistratura ne ignori l’applicazione o trovi difficile eseguirla.
Il razzismo si sconfigge con l’educazione e la cultura; e con le leggi che già esistono e sono purtroppo raramente utilizzate.
Marcello Flores