Claudio Gallo, La Stampa 16/6/2013, 16 giugno 2013
L’EX KHOMEINISTA PIÙ PRAGMATICO
La sorpresa sta diventando entusiasmo e tutti, dentro e fuori l’Iran, già si aspettano qualcosa dal nuovo presidente. Gli iraniani, per quanto hanno potuto, l’hanno votato per chiedere il cambiamento.
Resistendo all’ondata di ottimismo generale, rafforzata anche dall’alta partecipazione al voto che il regime si è comprensibilmente appuntata al petto come una medaglia, bisogna aggrapparsi ad alcuni punti fermi. Hassan Rohani (Rohani è il nome rivoluzionario, quello vero è Feridon), 64 anni, chierico e rivoluzionario islamico della prima ora, non è un riformista anche se ha vinto con i voti riformisti. La sua vittoria non è la rivincita dell’Onda Verde: i leader verdi Moussavi e Karroubi marciscono agli arresti domiciliari dal 2011, molti attivisti sono in galera, molti giornali sono stati chiusi e il movimento è clinicamente morto. E anche il paragone con la presidenza riformista di Khatami del 2007 è fuori luogo. Rohani è sempre stato un fedelissimo di Rafsanjani, l’ex presidente a cui il Consiglio dei guardiani ha impedito di candidarsi alle elezioni, che ha fatto a lungo parte dei massimi livelli della sicurezza dello stato, nominato dalla Guida Suprema.
Detto questo, il trionfo di Rohani è probabilmente lo scenario più interessante all’interno di un voto presidenziale costruito in modo che ogni combinazione dei dadi non fosse troppo sgradita all’ayatollah Khamenei e al Sepah, il potente apparato dei pasdaran. Di tutti i candidati, l’ex segretario del Consiglio supremo per la sicurezza era il più moderato, tanto che il riformista Mohammed Reza Aref si è ritirato dal voto all’ultimo momento per permettere che i voti riformisti e quelli di Rafsanjani convergessero su di lui.
Non bisogna dimenticare che mentre adesso i riformisti cercheranno di incassare il prezzo della loro partecipazione e i pasdaran il prezzo per non essersi immischiati, il vecchio Ahmadinejad resta in carica due mesi, un periodo in cui può ancora inventare qualche stravaganza. Certo adesso l’occidente non si troverà più davanti un tribuno dalla retorica imprevedibile, ma un leader «competente ed estremamente professionale», come ha ricordato l’ex ministro degli Esteri britannico Jack Straw che negoziò con lui quando era capo della delegazione iraniana per i colloqui sul nucleare. In quella veste Rohani fu l’unico negoziatore iraniano a siglare due accordi con gli occidentali, a Parigi nel 2003 e a Teheran nel 2004.
Durante la campagna elettorale, il nuovo presidente ha promesso di liberare i prigionieri politici e scrivere una carta dei diritti civili. Una sua frase, pronunciata durante un dibattito televisivo, in Iran è diventata un tormentone: «Non sono un colonnello, sono un giurista». Una larga parte della popolazione, specialmente nella grandi città, spera che si allenti la cappa di repressione che grava sul paesedal 2009.
Una delle prime conseguenze della sua elezione dovrebbe essere l’affondamento di Saeed Jalili, non solo come candidato presidenziale ma anche come negoziatore nucleare. Difficile dire quanto inciderà un presidente intenzionato a migliorare i rapporti con Washington su una linea di trattativa decisa direttamente dalla Guida Suprema. Un cauto ottimismo è autorizzato, anche perché il compito più difficile del prossimo governo sarà quello di risollevare l’ economia, duramente colpita dalle sanzioni internazionali, come ha riconosciuto per la prima volta poco tempo fa Khamenei.
In un sistema dove si vota la fiducia ai singoli ministri, il rapporto col parlamento sarà un test cruciale per Rohani che non ha il sostegno di nessun gruppo particolare. Il Majlis, affollato di deputati conservatori e presieduto da un altro ex negoziatore nucleare, Ali Larijani, lo aspetta al varco pronto a smussare qualsiasi slancio.
Una curiosa polemica ha sfiorato recentemente il nuovo presidente. Nonostante sia chiamato dottor Rohani, qualcuno ha messo in dubbio che abbia realmente ottenuto un dottorato in legge alla Caledonian University di Glasgow dove ha studiato prima della rivoluzione, come si dice in un film della sua campagna. L’università in effetti è nata dopo la rivoluzione del 1979, ma dagli archivi è venuto fuori che Rohani ha ottenuto il dottorato con il suo vero nome di Hassan Feridon nel 1999, un anno in cui era deputato e rappresentante di Khamenei nel Consiglio supremo per la sicurezza nazionale. Evidentemente studiava di notte.