Michele Prospero, l’Unità 16/6/2013, 16 giugno 2013
TRAVAGLIO, IL GIORNALISMO SERVO CONTRO IL M5S
Coerente, in fondo, lo è. Marco Travaglio viene da quella destra italiana che ha sempre avuto come sua ossessione la sinistra. La cui storia descrive con le mani insanguinate e con gli scarponi chiodati. Nel 1994, proprio per far deragliare i nipotini di Stalin, Travaglio accarezzò la Lega. Cioè un movimento ribelle dei territori, ma pur sempre agli ordini di Berlusconi. Nel febbraio scorso ha puntato invece sul M5S, ossia su un movimento ribelle della rete, e tuttavia garante del buon mondo antico presidiato dal grato Cavaliere.
Alla forza meno granitica che ha espresso la storia repubblicana, Travaglio intende prestare un disperato soccorso. E perciò strilla contro il «giornalismo servo» che descrive i mitici deputati di Grillo come divisi, poco esperti, attardati sulle questioni degli scontrini. Urge una rapida controstoria delle eroiche gesta per riscattare l’onore perduto. Ed ecco però come il saggio, lui sì non «prostatico», Travaglio tira le fila: occorre un bel «collegio dei probiviri» che liquidi la senatrice «furbona», «l’altro genio» che andava in Tv, i dissidenti feriti solo «sul nobile ideale della diaria».
Ma come? Senza neppure accorgersene, Travaglio descrive l’esperienza del M5S proprio come abitualmente fanno le spregevoli «guardie del corpo dei partiti» che riempiono di insulsaggini i loro giornali. E però «il cameriere del contropotere» aveva l’intenzione di celebrare la missione storico-cosmica del M5S, santificato come «unico», «primo», «storico» in ogni gesto, opposizione, sogno e proposta. Non meno confuso il corazziere di Grillo (e quindi un po’ carabiniere anche di Berlusconi) appare quando indossa gli abiti del suggeritore strategico. Oltre alle adunate dei probiviri per rimettere disciplina, i grillini «convochino conferenze stampa e iniziative di piazza» contro «quell’ente inutile che è ormai il parlamento». Perfetto. La memoria lo riporta, con un sospetto automatismo, all’aula sorda e non più grigia ma comunque inutile. Contro di essa occorre scaldare la piazza in un moto di ribellione perpetua contro istituzioni nemiche, con la subdola vocazione al «golpetto» e quindi senza alcun valore normativo.
È quello che Grillo sta già facendo, condannando all’irrilevanza un movimento di quasi 9 milioni di elettori, destinato alla frammentazione e alla fronda per l’assoluta mancanza di guida politica. Senza un briciolo di organizzazione, un confronto sui programmi, una strategia politica di breve e medio periodo non c’è nulla che possa trattenere una forza che sbanda e procede alla cieca: né gli anatemi di un comico arrabbiato né le scomuniche di un giornale amico.
Il disegno che Grillo persegue è quello di un movimento certo dimagrito ma non esangue, che si serve delle istituzioni come di un semplice megafono, che ricorre alla piazza per scopi di propaganda ma ha poi nel blog privato del capo il suo centro assoluto di riferimento. Il mondo è però troppo complesso per rinchiuderlo in un blog. E delle forze centrifughe, al cospetto dello scacco continuo che il non-partito incassa nelle sedi della rappresentanza, spingeranno alla deriva una litigiosa formazione flash da mesi chiusa in un vicolo cieco. Quanto alla forma del non-partito il confronto con il Cavaliere non regge. Quello di Berlusconi non è un effimero partito personale, si avvale di un immenso apparato politico professionale di nuovo conio. Ha la regia organizzativa e propagandistica dei quadri di una grande azienda, la copertura di un esercito agguerrito di media, la vocazione egemonica di schiere di giornalisti militanti, la dedizione alla causa di vasti ceti di amministratori e di intellettuali organici. Anche Grillo dispone di un partito della micro azienda, con alcuni giornali e trasmissioni Tv di supporto. Ma la sua potenza di fuoco, che è stata devastante durante la campagna elettorale, pare spenta dopo l’ingresso trionfale nel Palazzo, occupato per non combinare nulla.
Il mito di un uomo solo al comando anche stavolta non funziona. Senza un’ideologia coerente, una macchina di un qualche spessore, un blocco di interessi sociali di riferimento nessun capo assoluto, seppure coadiuvato da un guru millenarista o da media vicini agli spifferi della polizia giudiziaria, riesce a mantenere il saldo controllo di una schiera di eletti reclutati con provini, autopromozioni, cooptazioni, filmati.
La velleità di raccogliere in ogni piazza un risentimento su una singola istanza e definire così una eterogenea aggregazione di micro-rabbie non porta ad una politica. La fenomenologia della rabbia a febbraio ha gonfiato una metafisica della rivolta. Ma se l’ingresso nel palazzo è sterile, e improduttiva si rivela la partecipazione al gioco politico, difficile pare accendere di nuovo la miccia della ribellione. Neanche se l’ordine di insurrezione lo redige Travaglio, che sogna un vecchio comico al Palazzo e un altro a scaldare la piazza invocando di visitare il suo blog.