Alessandro Di Lellis, Il Messaggero 16/6/2013, 16 giugno 2013
GENERAZIONE IN FUGA, L’ELDORADO È TEDESCO
Uno sguardo intorno. Un respiro lungo. E Italia addio. Non chiamateli cervelli in fuga, definizione semipornografica, come se le persone avessero un pregio per via dei loro pezzi, a un tanto al chilo. Chiamiamoli italiani che vedono sempre meno possibilità di una vita sensata, basata su un’occupazione pagata, in un Paese che offre sempre meno lavoro, meno soldi e meno senso. La politica, in ritardo, cerca soluzioni, come ha fatto nel vertice quadrilaterale di venerdì a Roma. È un fatto che in tanti se ne stanno andando, molti sono giovani. Forse parlare di generazione in fuga è troppo. Ma è una generazione con la valigia in mano.
I NUMERI
All’Istat spiegano che è emigrato chi trasferisce la propria residenza all’estero per almeno 12 mesi. Questo è il criterio internazionalmente accettato. A tenere i conti di quest’esodo è l’Aire, l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero. Al 31 dicembre 2012, vi risultavano iscritti 4.341.156 connazionali, sia coloro che sono emigrati nei decenni passati, sia quelli di uscita più recente.
Gli ultimi dati disponibili riguardano il 2011. E dicono che in quell’anno poco più di 50 mila italiani hanno cancellato la loro residenza in patria. Nel 2010 lo avevano fatto in 39 mila, altrettanti nel 2009. Se si guarda alle classi di età, colpisce un dato: mentre dal 2003 al 2010 il numero dei connazionali emigrati tra i 20 e i 35 anni è stato stabile, (tra i 15 e i 16 mila), nel 2011 è balzato a 19.759.
Sotto il sasso dei dati Aire c’è però una montagna nascosta. Chi va all’estero, soprattutto se per periodi inframmezzati da ritorni in patria, non cancella subito la residenza e spesso non lo fa affatto. Lo prova il dato tedesco: nel 2012 ben 42.200 mila italiani sono andati a vivere in Germania, il 40% in più rispetto all’anno precedente. Fino al 2009 il saldo era negativo, rientravano più connazionali di quanti si trasferivano in Germania.
IL DANNO
«Si emigra verso tutte le mete, ma in particolare verso i Paesi dell’Unione europea e chi lo fa, almeno inizialmente non sposta la residenza», conferma il professor Gianfranco Viesti, professore di Economia all’Università di Bari, uno degli studiosi più attenti ai processi del Mezzogiorno. «Il dato nuovo - dice - è che tutte le regioni italiane sono coinvolte, non soltanto il Sud, tradizionale terra di emigrazione». L’Italia, insomma, si sta meridionalizzando. E, come è stato per il Sud, se il fenomeno diventa strutturale, avverte l’economista, «le ferite saranno molto gravi: il nostro Paese sopporta dei costi di formazione, che l’Ocse ha calcolato in 250 mila euro per ogni giovane universitario, il costo di crescere un figlio e farlo studiare». Inoltre, «emigra chi è più “imprenditivo”, più disponibile al rischio. Insomma sono assunzioni pregiate: se le perdiamo il danno sarà maggiore».
GLI STUDI
L’università Federico II di Napoli ha reso noto che (su un campione di 2000 unità) il 34,1% per cento dei suoi laureati degli ultimi 5 anni lavora o insegna all’estero. «L’emigrazione dal Sud al Nord d’Italia, negli anni ’60, fu colossale. Ma quello che sta succedendo, in un certo senso, è peggio, perché c’è un’aggravante qualitativa: va via la fascia alta, i laureati», commenta l’economista Carlo Borgomeo, della Fondazione ConilSud. Che mette in guardia: «In un mondo globalizzato la battaglia non deve essere quella di trattenere i migliori in Italia, ma di creare una vera circolazione di talenti: oltre a esportarli, dobbiamo attirarli da noi».
I SONDAGGI
E’ indigesta la miscela occupazioni precarie/paghe basse/servizi scarsi o inesistenti/mancanza di prospettive: un’indagine condotta da Swg per Coldiretti ha rivelato che il 59% degli studenti è pronto a lasciare l’Italia. Spiega Vittorio Sangiorgio, delegato nazionale dell’associazione: «Vogliono andarsene i giovani disoccupati (53%) ma anche quelli che già lavorano (47%). E ben il 73% dei giovani ritiene che l’Italia non possa offrire un futuro. Il profilo del “bamboccione” è smontato. Abbiamo formato la generazione più preparata della storia repubblicana ma non siamo capaci di offrirle un lavoro».
Secondo il rapporto Svimez 2012, «nel generale “impoverimento” delle condizioni del mondo del lavoro, sono soprattutto i giovani che hanno pagato la crisi: non a caso tutta la perdita di occupazione si concentra nelle classi di età giovanili (sotto i 35 anni)». L’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, nel suo rapporto 2012, conferma che l’emigrazione all’estero riguarda tutto il Paese: «Nel 2010 da tutto il Sud sono espatriati 10.800 meridionali, contro gli oltre 28.000 del Centro-Nord. Si sono diretti soprattutto in Germania, quasi uno su quattro».
LA SFIDA
Abbiamo raccolto un’opinione diversa, in parte controcorrente, in Confindustria. Questa: il fatto che i giovani emigrino, in un mondo globalizzato, è positivo. La vera domanda è: perché le università tedesche attirano 50 mila studenti cinesi e quelle italiane soltanto 1500? Perdiamo individui capaci (30 mila i ricercatori italiani all’estero, secondo stime di Confindustria), senza riuscire ad attrarne altrettanti.
L’EMERGENZA
La perdita netta di intelligenze va di pari passo con il calo degli investimenti esteri: «Nel 2007 le multinazionali investivano 46 miliardi di euro da noi, nel 2012 si sono ridotti a 14». Intanto, «il lavoro, da noi, è stato espulso dal processo formativo». Mentre la Germania, dove formazione tecnica e imprese vanno a braccetto, offre a ragazzi spagnoli e italiani l’opportunità di un passaggio nel sistema duale, offrendo loro 8000 euro all’anno per un biennio negli istituti tecnici, al termine del quale viene loro offerta la possibilità di un posto.