Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Si fa un gran discutere su chi si nasconda dietro i 27 milioni di italiani che sono andati a votare i referendum. Discussione non solo accademica: per il governo, per l’opposizione, per i partiti e per i singoli uomini politici le facce che hanno detto sì alle quattro abrogazioni sarebbero molto importanti da vedere, per capire qual è a questo punto la direzione da prendere, in visto di un recupero o di un ulteriore allungo. Quindi, in questi due giorni, se ne sono sentite di tutti i colori.
Per esempio, ci
sarebbe stata una straordinaria partecipazione giovanile.
È stato scritto, sì. La “partecipazione giovanile” è
in genere la formula con cui si segnalano le novità. Ma, francamente: oggi è
giovedì, stiamo scrivendo questo articolo di mercoledì, sono passati due giorni
e mezzo dai risultati, non ci sono numeri – per il momento – che diano una
qualche evidenza a questa ipotesi.
Cioè, secondo lei i giovani non ci sono stati?
È ovvio che una quota di giovani ha partecipato al
voto. È altrettanto ovvio che questa quota sia più significativa rispetto a
quella dei referendum passati: il quorum è stato ampiamente superato, ed è
andata a votare più gente dell’ultima volta, quindi anche più giovani, ma anche
più vecchi, più donne, più manager e più operai. Siamo in realtà davvero sicuri
di due soli dati: al Nord e al Centro si è votato più che al Sud, almeno metà
della base leghista ha disobbedito al capo ed è andata alle urne. Tutto il
resto è elucubrazione con fondamento tutto da dimostrare.
Non si potrebbe
provare a fare un’anagrafe – magari così, a spanne – di questi italiani che si
reimpossessano dei referendum?
Beh, vediamo. Quelli di sinistra o di
centrosinistra, metà della base leghista, un 20% di pidiellini, un buon numero
di cattolici che ha obbedito all’indicazione del papa sui pericoli e
l’arroganza della tecnologia, una quota (il 7%?) di antiberlusconiani generici
che si sono indispettiti quando il premier ha detto che non sarebbe andato alle
urne. Per interpretare la massa dei 27 milioni bisogna mettersi d’accordo sulle
motivazioni del voto. Sono abbastanza sicuro che, se la consultazione si fosse
svolta prima di Fukushima e quindi prima delle amministrative, il quorum non
sarebbe stato raggiunto. Fukushima ha mobilitato un sentimento forte come la
paura. Ma ha fatto lievitare il consenso anche il doppio flop del centro-destra
alle amministrative. Ha presente la parola “crescendo”? Per il centro-destra i
ballottaggi sono andati peggio del primo turno e il referendum è andato peggio
dei ballottaggi. Cioè: a metà maggio ha cominciato a suonare una sirena che ha
poi continuato a suonare sempre più forte fino al 12 giugno. Alla paura del
nucleare s’è aggiunta la stanchezza per Berlusconi e i suoi riti. Davvero il
bunga-bunga non è costato niente al centro-destra? Non parlo del piano penale,
che potrebbe risultare inesistente, ma del generico buon gusto, della generica
buona educazione, della risposta alla domanda: «Ma uno statista si comporta
così?». Questi mal di pancia - che forse molti si sarebbero tenuti se si fosse
votato a marzo, data la confusione, data la pochezza dell’offerta politica che
viene dal centro-sinistra - sono invece risultati insopportabili quando le
sirene hanno cominciato a suonare.
E internet?
Perché molti pensano che internet – cioè facebook, twitter, i social network –
sia stato determinante.
Anche qui non ci sono evidenze, ma deduzioni. Se
cinque reti su sette hanno invitato all’astensione col sistema del
silenzio-stampa, e non hanno orientato il pubblico, qualcos’altro deve averlo
orientato. La rete è la risposta più facile. Un intenso passa-parola a cui i
fautori del “no” hanno deciso di non opporre alcuna resistenza. Sì,
qualcosa del genere deve essere successo, anche perché la quota di società
civile che si è mobilitata ufficialmente è parecchio consistente e ha pratica
con il web (il centro-destra maneggia forse meno il web, o lo sottovaluta, dato
il pregiudizio del capo secondo il quale «se non vai in televisione non esisti»).
Che cosa
intende esattamente, in questo caso, per “società civile”?
Per esempio sulla faccenda dell’acqua si sono
mobilitate – attraverso la rete e grazie ai promotori – 454 tra associazioni,
circoli, comitati, cooperative, movimenti, più 125 comitati di sostegno locale
più 15 comuni e undici partiti-movimento. 605 sigle in tutto, a cui hanno dato
il loro appoggio la Cgil (poco meno di sei milioni di iscritti), tutto
l’ambientalismo di base (Wwf, Italia nostra, Legambiente, Greenpeace e altre
decine). Aggiunga le organizzazioni cattoliche – Rete Lilliput, Pax Christi,
Agesci, l’Azione cattolica – stimolate anche dall’intevento pubblico di
Benedetto XVI. Forse, un altro tema da discutere, sarebbe quello di quale sia
la forma moderna delle organizzazioni che raccolgono il consenso. I partiti
come li conosciamo sono ancora capaci di percepire queste inquietudini della
società profonda, saprebbero vibrare coerentemente con le scosse invisibili che
muovono la vita collettiva
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 16 giugno 2011]
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